Mosaico
Cinquanta giovani “penne”, dai diciotto ai quarant’anni, e le prospettive di un mestiere, quello del giornalismo, che nonostante le vorticose provocazioni della multimedialità continua ad attrarre nella sua dimensione umana e attraverso la responsabilità etica. I combattimenti insanguinati dalla crudezza del male e la resiliente capacità di raccontarne le sfumature, nei contorni meno bui. La frontiera che divide e il dialogo che vince ogni distanza culturale. È su questo “humus” che hanno fermentato idee e spunti condivisi nelle tre giornate della Scuola di alta formazione dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi) “Giancarlo Zizola”, promossa dal 14 al 16 novembre nel cuore di Assisi assieme a Odg Umbria e Pro Civitate Christiana – Cittadella Laudato si’ nell’Anno giubilare, con il patrocinio di Regione Umbria, Provincia di Perugia, Città di Assisi e iPress. Un hub indubbiamente stimolante tra diverse generazioni di professionisti incentrato sul tema “Giornalisti di speranza”, dedicato quest’anno ai colleghi uccisi per guerre e mafie. Ed è proprio nell’ottica glocal, dai contorni minati quotidianamente da conflitti mondiali e crisi umanitarie, in un tempo dettato dalla fretta di dare notizie e dall’urgenza di rallentare recuperando in primis il pensiero critico, che si sono intrecciate esperienze lavorative e storie personali, consegnando ai partecipanti non solo indirizzi operativi ma, soprattutto, la testimonianza di un giornalismo costruttivo che, nel solco del cammino svolto dall’Ucsi in questi ultimi anni condurrà verso un ulteriore, significativo step: il Congresso nazionale in programma al Sermig di Torino domenica 25 gennaio 2026, in occasione della Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali.
“Questa iniziativa nasce dalla preoccupazione di proporre alle nuove generazioni di giornalisti qualcosa di sano, di appassionato, al di là della mera formazione. Non si può camminare da soli e nutriamo la speranza di consolidare una rete sempre più efficace”,
afferma Vincenzo Varagona, presidente nazionale dell’Ucsi. A declinare il senso di questa stessa speranza negli scenari più impervi c’è la voce di Lucia Goracci, inviata Rai del Tg3, che ben conosce gli scacchieri internazionali del Medioriente, dalla Libia all’Iraq, passando per la martoriata Gaza. “È più facile fare un racconto comodo – spiega -, funzionale alle tesi di fondo, nei salotti tv, invece che partire di notte, senza nemmeno sapere se si arriverà a destinazione. In guerra ti devi districare tra le verità di fondo che, come sosteneva Churchill, vanno difese ‘da una coltre di bugie’. Occorre essere attrezzati di conoscenze, ricostruire i fatti, fare i conti con stanchezza, lucidità, stati d’animo”. Nei campi profughi di Baghdad così come a Mosul o in Iran, la visione di una cronista di razza è ormai limpida: “Non bisogna cedere alle tesi precostituite, piuttosto è importante affidarsi all’informazione locale, cercando sempre di conquistare la fiducia di chi subisce la violenza e di stabilire un punto di contatto umano: non siamo lì per abusare del dolore altrui ma per riferirlo al mondo. La speranza è ciò che mi porta a raccontare le guerre: chi va come inviato lo fa perché è innamorato dell’umano. I conflitti tolgono ogni possibilità di fare progetti, di socializzare, di andare all’università, e questa è la peggiore delle perdite. Ricordo il viaggio di Papa Francesco in Iraq: in quei passi claudicanti e rischiosi, ci accompagnò con le intuizioni più visionarie, spingendosi spinse non solo tra le vittime cristiane ma anche tra i vinti, tra coloro che avevano sostenuto l’Isis”.
Sugli insegnamenti lasciati da Bergoglio particolarmente incisivo è il contributo di Alessandro Gisotti che, in qualità di vice direttore del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, tessendo aneddoti e linee guida giornalistiche, ha fotografato a più riprese un contesto ben nitido in cui
“se non c’è la pace non può attecchire il seme della speranza, e questo messaggio deve essere veicolato da noi operatori della comunicazione, cattolici e non. Il bene delle comunità e dei popoli appartiene a tutti, dobbiamo convergere verso questo obiettivo: noi giornalisti possiamo fare tanto, prendendo esempio dalle colleghe donne in prima linea che possiedono uno sguardo più comprensivo e integrale”.
Facendo inoltre memoria del Giubileo del 2000, Gisotti ha evidenziato che “siamo evidentemente in un’altra era, nella dimensione dello sviluppo tecnologico applicato alla comunicazione. L’Intelligenza Artificiale cambierà il nostro mestiere e il nostro stile di vivere: questa rivoluzione ci sta plasmando, con grande impatto sull’informazione, basti pensare che il 40% delle risposte fornite da ChatGpt sono errate e prive creatività. Sono strumenti da utilizzare ma con prudenza, per salvaguardare la nostra professionalità”. Quindi, un excursus degli ultimi mesi giubilari, a cavallo della morte del Pontefice argentino e l’arrivo di un Papa agostiniano e missionario, che hanno catalizzato l’attenzione mediatica mondiale e una raccomandazione ai presenti: “Abbiamo cura del linguaggio giornalistico, di quella comunicazione legata alla speranza che è comunione. Infondiamo di pensiero il nostro lavoro, aumentiamo la qualità dei nostri testi che necessitano di contesti. Educhiamoci all’uso dei media in questa frammentazione anche informativa e impegniamoci ad essere narratori della verità nella speranza”.
C’è poi il giornalismo televisivo, attestato dalla competenza di Maurizio Amoroso, vice direttore TgCom24 Mediaset, che in un’epoca in cui “alla gente sfugge la comprensione delle notizie, la rabbia circola e la paura cattura”, tra “346 milioni di video di TikTok ritenuti inadeguati e il diffondersi di una falsità sempre più lontana dalla realtà” va recuperata “la potenza delle storie: la sfida sta nel promuovere un giornalismo che sappia ascoltare prima di condividere, un’informazione che sia rigore, indagine, verifica, ascoltando protagonisti e testimoni. La speranza è un dovere pubblico per un giornalista, è un habitus, non un sentimento. La speranza per voi siete voi”. Oltre al suo, il contributo di Giacinto Pinto, caporedattore cronaca al Tg1 Rai, che ha ricordato come “la nostra figura può essere fondamentale se diventa filtro per accompagnare per mano il lettore”, senza mai trascurare le fonti informative e la gavetta con cui cimentarsi nei propri territori.
Un giornalismo autenticamente di prossimità, quindi, esplicitato in video collegamento anche da Gerolamo Fazzini, curatore della mostra “Comunicare la speranza: un’altra informazione è possibile,” che sta girando più di una regione. Infine, con sullo sfondo la diapositiva della piazza Transalpina di Gorizia, Capitale della Cultura 2025, la toccante pagina privata e lavorativa di chi come Katja Fetleti, capo redattore di Novi Glas, settimanale sloveno in Italia, fin da bambina ha sperimentato il “confine metallico” tra il nostro Paese e l’ex Jugoslavia nel disgelo che oggi supera le barriere.
“I giornalisti di speranza possono ricucire valori – dice -, perché anche le ferite più profonde possono rimarginarsi, la storia non è irreversibile: il passato può essere commemorato senza alimentare rancore, rendendo tangibile la speranza.
Oggi la frontiera fisica è diventata linea immaginaria, il bilinguismo non divide ma unisce e il giornalismo stesso può trasformare la narrazione in strumento di riconciliazione, con consapevolezza ed empatia, dal dolore alla rinascita”.
Tra vita vissuta come vocazione professionale e doveri deontologici, il “mandato” Ucsi per gli aspiranti giornalisti si delinea dunque chiaramente, specialmente nel progetto delle 5M – More request, more sources (Più domande, più fonti); More time (Più tempo per approfondire); More languages, more points of view (Più linguaggi, più punti di vista); More legal protections, rights, freedom (Più tutele, diritti e libertà); More humanity (Più umanità) – che, rovesciando le 5W, vogliono rappresentare un modello e non una regola, un work in progress dall’approccio totalmente laico per provare a recuperare maggiore credibilità giornalistica a fronte di dati e algoritmi che, nell’ecosistema dell’informazione e delle fake news, evidenziano la presenza di 5 miliardi di profili attivi sui Social più del 62% della popolazione mondiale. “La speranza ci ha nutrito in questi anni – afferma Maria Luisa Sgobba, vice presidente dell’Ucsi e responsabile della Scuola -, coltiviamo il desiderio di fare di queste nostre riflessioni tracce utili per poter orientare i giovani nel futuro della professione”. Un futuro che non può non guardare allo spaccato di ieri, come ricordato dalla past president Ucsi Vania De Luca: “In un tempo di forti polarizzazioni il campo della libera informazione è oggi minacciato da poteri che non gradiscono le domande, da operatori dell’informazione che più che giornalismo fanno propaganda, da luoghi del mondo in cui è vietato l’accesso ai giornalisti e alle telecamere.
L‘Ucsi può aiutare nel supportare e formare quei ‘giornalisti della porta accanto’ a servizio della verità, disponibili a mettersi in gioco per la democrazia e la coesione sociale”.
Tasselli incoraggianti in un cantiere aperto e dinamico, proiettato ad un’Europa che sulla pace e sulla speranza fonda da sempre le proprie radici.