Idee
«Una grande opportunità per incontrarsi, per dialogare anche al di fuori dei negoziati ufficiali, confrontando esperienze diverse e costruendo una via che passando dal riparare le ferite fatte all’ambiente porti alla pace».
È la sintesi che fa la padovana Lucia Brusegan, presidente dell’International Biochar Initiative, delle settimane vissute a Belém, alla Cop30, la 30a Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è chiusa il 21 novembre in Brasile. Se nel dibattito pubblico europeo e italiano poco è arrivato delle intense discussioni che si sono svolte a più livelli a partire dal 10 novembre, chi c’è stato come Lucia Brusegan, che abbiamo sentito mentre era ancora a Belém, tra un incontro ufficiale e una condivisione informale con attivisti da tutto il mondo, ci riporta una situazione che apre a speranze per il futuro, non solo ambientale, del pianeta. «A Belém abbiamo respirato la complessità dei negoziati, che hanno richiesto anche sedute serali per i delegati dei singoli Paesi, a volte appesantiti da tecnicismi. Ma il fatto per me più rilevante è che un po’ alla volta sta passando l’idea che per raggiungere gli obiettivi climatici che ci si è dati con la Convenzione mondiale sul clima (da cui gli Usa, il secondo produttore di emissioni di gas serra al mondo, sono usciti per la seconda volta con l’elezione di Trump, ndr) non basti solo lavorare molto su tecnologie per ridurre le emissioni di CO2 che immettiamo nell’ambiente, ma sia necessario promuovere sistemi per rimuovere dall’atmosfera quelle che già ci sono. E sappiamo che l’anidride carbonica può rimanere nell’atmosfera per centinaia di anni. Ridurre le emissioni non è più sufficiente, è necessario intervenire su più fronti per “sequestrare” il carbonio atmosferico, stoccandolo e facendo in modo che non ritorni nel ciclo naturale».
Obiettivi così ambiziosi non si ottengono solo con le scelte dei governi, che rimangono sì decisive, ma anche con iniziative dal basso, sostiene Brusegan: «Alla Cop si incontrano tutti gli attori: i rappresentanti dei governi e delle istituzioni internazionali, ma anche portatori di interessi diversi come le associazioni non governative o i membri delle comunità indigene. È un’opportunità eccezionale per dialogare, per dare valore a comunità diverse e per impegnarsi a trovare accordi. Si inizia dalla condivisione di progetti che funzionano, che possono essere migliorati e trasferiti in altri contesti. Nel padiglione dove eravamo ospitati ci siamo incontrati più volte con esperti di tecnologie sorelle per rimuovere il carbonio, sono nate belle dinamiche di lavoro comune tra culture diverse. Per me, da cattolica, una grande scuola di costruzione di pace, perché si abbandonano opportunismi personali e ci si sente uniti per un obiettivo più grande».
In Europa sembra che si sia raffreddato l’impegno e l’entusiasmo per il raggiungimento degli obiettivi che si erano condivisi nel 2015, ma da Belém Lucia Brusegan torna con una nota di speranza: «In questi dieci anni da Parigi 2015, conferenza ispirata dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, non si è fatto abbastanza, le ambizioni erano alte e a volte è frustrante vedere come problemi operativi e politici tra i 170 Paesi rallentino gli interventi a favore del clima. Ma la rotta è tracciata e sul campo tante iniziative positive sono portate avanti indipendentemente dalle scelte dei Paesi. Le politiche climatiche sono necessarie, attraggono investimenti, ma le cose positive accadono già. Il biochar, per esempio, è già in produzione in diverse parti del mondo sia come sostituto del coke che genera crediti di carbonio certificati che vengono venduti ad attori internazionali che credono nella decarbonizzazione, che come ammendante del suolo per aumentare la produttività dei terreni».
In Brasile è arrivata anche la voce delle Mamme No Pfas italiane, invitate alla Cúpula dos Povos, l’assemblea autonoma dei movimenti sociali e indigeni, contadini ed ecologici che si è svolta in contemporanea alla Cop30 per dare voce alle comunità locali attive di tutto il mondo. «Come italiani siamo stati invitati dal Mab, il movimento dei danneggiati dalle dighe e dai cambiamenti climatici, e ai governi abbiamo chiesto di non mercificare l’acqua usata per le dighe, per l’estrazione dei minerali, per coltivazioni intensive e inquinanti – racconta Michela Piccoli, rappresentante delle Mamme No Pfas Italia della rete Zero Pfas – Le multinazionali prometto lavoro, una vita migliore per persone che spesso non vengono considerate perché nemmeno censite. Parlare con loro, fare amicizia e condividere le nostre esperienze è un’esperienza che graffia dentro al cuore».
Anche a Belém, Michela Piccoli ha portato l’esperienza vissuta sulla pelle di tante famiglie nel Vicentino e nel Padovano, circa 350 mila persone contaminate da sostanze degli scarti delle lavorazioni della Miteni: «Per la prima volta abbiamo parlato di Pfas (sostanze perfluoroalchiliche con un grave impatto sulla salute umana e sull’ambiente), abbiamo contattato giornalisti e ambientalisti indiani per avvisarli che gli impianti della Miteni sono già operativi a 200 chilometri da Mumbai, nel distretto di Lote, e che stanno già uccidendo i loro figli. Noi abbiamo vinto un processo contro questa azienda, ma come mamme abbiamo l’obiettivo di non vincere solo per i nostri figli, ma di informare i figli di tutta la Terra. Sono tante le madri e le donne che per prime pagano le conseguenze maggiori del cambiamento climatico e dei danni causati dalla privazione dell’acqua o dalla contaminazione. Sono le madri che provvedono alla vita quotidiana dei figli e spesso le leader – come Paula dal Perù, Erica Mendez dal Mozambico, Damaris dal Brasile, Giulieta dalla Repubblica Domenicana, Vilma dal Guatemala – che dimostrano più forza e coraggio contro un sistema capitalistico che pensa solo al profitto».

«Il creato sta gridando attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo implacabile». Ad affermarlo papa Leone XIV nel video-messaggio rivolto, il 17 novembre, alle Chiese particolari del Sud del mondo riunite nel Museo Amazzonico di Belém. Sulla Cop30, il pontefice spiega che «c’è ancora tempo per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto degli 1,5°C, ma la finestra si sta chiudendo», indicando l’urgenza di una risposta condivisa. «L’Accordo di Parigi ha portato progressi concreti e continua a essere il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il pianeta», tuttavia, papa Leone XIV ricorda che «non è l’Accordo che sta fallendo, ma siamo noi che stiamo fallendo nella nostra risposta», invitando a superare inerzie e resistenze. Il pontefice prosegue sottolineando che «siamo custodi del creato, non rivali per le sue spoglie».
Quella di Belém è la prima Cop organizzata in Brasile, in un’area per altro sensibile, essendo questa una delle “porte di accesso” all’Amazzonia. Il presidente Lula ha accolto la presidenza della Conferenza per il clima con la promessa di rallentare la deforestazione proprio del più grande polmone verde mondiale, e di ridurre le emissioni di gas serra del Brasile. Tuttavia, mentre andiamo in stampa, non emergono grandi aspettative o intese: lo stesso presidente della Cop30, André Correa do Lago, ha parlato di sessioni di discussione notturne per provare ad avere ulteriore tempo per superare le barriere tra i Paesi. Fra i temi più spinosi la questione della tassa sul carbonio alle frontiere europee, che impone dazi per le emissioni su merci importate da Paesi extra Ue, contestata da Cina e India, ma non negoziabile dall’Unione europea.