Un monaco dai molti miracoli: san Charbel Makhlouf. Papa Leone XIV in preghiera sulla sua tomba
Sarà una tappa molto significativa – oggi 1° dicembre – quella di Papa Leone XIV al monastero di San Maroun ad Annaya, dove pregherà sulla tomba di San Charbel Makhlouf, la cui devozione ha superato i confini del “Paese dei Cedri” e continua a richiamare fedeli da tutto il mondo. All’intercessione del santo, beatificato e canonizzato da Papa Paolo VI rispettivamente nel 1965 e nel 1977, sono attribuiti numerosi miracoli e guarigioni straordinarie
Sarà una tappa molto significativa quella di Papa Leone XIV al Monastero di San Maroun ad Annaya, dove pregherà sulla tomba di San Charbel Makhlouf, conosciuto da molti come il “Padre Pio libanese”. La sua devozione ha superato i confini del “Paese dei Cedri” e continua a richiamare fedeli da tutto il mondo. All’intercessione del santo, beatificato e canonizzato da Papa Paolo VI rispettivamente nel 1965 e nel 1977, sono attribuiti numerosi miracoli e guarigioni straordinarie: circa 30mila.
La tomba di San Charbel, divenuta luogo di pellegrinaggio dopo la sua morte, fu segnata da fenomeni misteriosi: una luce particolare attirò l’attenzione dei monaci, che decisero di riesumare il corpo trovandolo incorrotto e caldo, come se fosse ancora vivo. Questo accadde altre due volte, poiché il corpo trasudava un liquido misto di sangue e acqua. Durante l’ultima ricognizione, nel 1950, il volto del santo rimase impresso su un panno e si verificarono guarigioni istantanee tra i presenti, come riportato dal Dicastero per le Cause dei Santi. Dopo la beatificazione, il corpo di frate Charbel non ha più trasudato.
Giuseppe (Youssef) Makhlouf nacque nel 1828 in un villaggio del Libano e rimase orfano di padre a soli tre anni. Fin da ragazzo mostrò una forte devozione verso la Madonna, dedicando molte ore alla preghiera e alla meditazione. Entrò nel monastero della Madonna di Mayfouq a 23 anni e, due anni dopo, emise i voti religiosi nel monastero di San Marone ad Annaya, assumendo il nome di Charbel. Ordinato sacerdote nel 1859, visse per quindici anni nel monastero di Annaya, conducendo una vita di preghiera e di attenzione verso i più umili e gli ammalati. Dieci anni più tardi si ritirò in un eremo per dedicarsi esclusivamente alla preghiera, alla penitenza e all’ascesi. Morì il 24 dicembre 1898, dopo essere stato colto da un malore durante la celebrazione eucaristica il 16 dicembre. “Egli può farci capire, in un mondo affascinato dal comfort e dalla ricchezza, il grande valore della povertà, della penitenza e dell’ascetismo, per liberare l’anima nella sua ascensione a Dio”, disse di lui Paolo VI.
I luoghi di venerazione dedicati a San Charbel sono numerosi, tra cui quello a Roma, presso il Monastero San Charbel, meta di pellegrinaggio non solo per i romani ma anche per fedeli provenienti da altre città italiane. Qui giungono lettere con testimonianze di grazie ricevute, anche da persone non credenti, conservate dalla Procura generale dell’Ordine libanese maronita.
Ogni 22 del mese, molti fedeli si ritrovano nella cappella che custodisce le sue reliquie per un momento di preghiera, conforto e ricerca di guarigioni, partecipando alla celebrazione eucaristica secondo il rito maronita. La liturgia è accompagnata dalla recita di una coroncina composta da cinque gruppi di grani: tre rossi (simbolo dei voti monastici), uno bianco (simbolo dell’adorazione eucaristica) e uno azzurro (simbolo della venerazione alla Madonna). I gruppi sono separati da cinque grani neri, sui quali si recita il Padre Nostro. All’inizio della corona si prega “O Padre della Verità”, invocazione recitata da San Charbel durante la sua ultima Messa, fino al momento della sua morte nella notte di Natale.
Accanto alla coroncina, spesso accompagna la preghiera il cosiddetto “Olio di San Charbel”, benedetto presso la sua tomba in Libano. Questo olio viene distribuito in occasioni speciali e utilizzato per l’unzione dei malati, come gesto di fede e di richiesta di guarigione. Numerose testimonianze raccontano di miracoli attribuiti a questa pratica. La tradizione dell’olio risale a un episodio della vita del santo: una notte, Charbel chiese dell’olio per la sua lampada, ma, non essendocene disponibile, fu versata dell’acqua. In modo inspiegabile, la fiamma rimase accesa fino al mattino, permettendogli di pregare e meditare. La Chiesa maronita affonda le sue radici nell’eremita San Marone del IV secolo e conserva ancora oggi la lingua liturgica aramaica, la stessa parlata da Gesù.