Storie
Una poesia, e la vita è cambiata
Loredana Vido, le rime di Marco Compagno, la donazione del cordone ombelicale, la nascita dell’Adisco e l’impegno per i piccoli malati di leucemia. Con un sogno nel cuore…
StorieLoredana Vido, le rime di Marco Compagno, la donazione del cordone ombelicale, la nascita dell’Adisco e l’impegno per i piccoli malati di leucemia. Con un sogno nel cuore…
Loredana Vido, medico pediatra, prende la borsa e ne tira fuori un vecchio foglio protocollo ingiallito ai margini che porta con sé da oltre vent’anni. Poi inizia a leggere, la voce ancora incrinata dall’emozione: «La gioia di vivere è tanta, tanta, tanta; tanta quanto il mare…». Poche semplici parole, che acquistano un significato particolare sulla bocca di un bambino che muore.
Marco Compagno è andato in cielo il 15 luglio 1996 dopo una lunga agonia; aveva appena 12 anni. Eppure i mesi in ospedale a combattere contro la leucemia non gli avevano fatto perdere la gioia di vivere: le foto ce lo mostrano sorridente, la faccia simpatica di un ragazzo di seconda media. Un piccolo gigante buono, che con quegli occhi limpidi guardava in faccia la morte, ma anche la vita. Ed esprimeva tutto questo nelle poesie che scriveva: “Si nasce. / Si cresce. / Si invecchia. / Si muore. / Non esiste «magia» / per fermare la vita”.
«Era il 1997, una collega del reparto di oncoematologia pediatrica voleva coinvolgermi nel programma per la donazione del cordone ombelicale – ricorda oggi – Io non ero convinta: mio padre era morto da poco, e per assisterlo avevo anche lasciato il lavoro da ricercatrice all’Università di Padova, che amavo moltissimo. Volevo semplicemente riposare e prendermi cura di mio marito e di mio figlio». Invece le cose andarono diversamente: mentre la dottoressa Vido e la collega stanno parlando, a un certo punto, in un corridoio all’ospedale civile, si avvicina una donna con una bambina al fianco. «Scusate se mi intrometto» dice, incoraggiata proprio dalla figlia: «Dai mamma, fagli vedere». È titubante, poi si decide: «Se tutti donassero il cordone ombelicale forse il mio bambino si sarebbe salvato. Tenga, prenda questo». Poi va via, lasciando il foglio nelle mani della dottoressa.
Da allora quelle poesie accompagnano Loredana Vido dappertutto, e quel bambino che non ha mai conosciuto diventa una presenza costante nella sua vita. È così che contribuisce a fondare la sezione veneta dell’Adisco (Associazione donatrici italiane sangue cordone ombelicale), che presiederà per 15 anni. «Il sangue di placenta e cordone ombelicale è pieno di cellule staminali multipotenti, progenitrici dei globuli rossi, dei globuli bianchi e delle piastrine», spiega oggi. Analoghe a quelle presenti nel midollo osseo ma ancora più efficaci per i piccoli trapiantati, perché hanno una maggiore capacità proliferativa e un minor rischio di rigetto: «La donazione non costa niente, non è pericolosa e può salvare una vita: è come diventare madri due volte».
Forse Loredana Vido non si aspettava tutto questo. Nata nel 1946 a Vicenza da genitori veneziani, unica femmina con due fratelli maschi, il suo destino sarebbe dovuto essere quello di sposarsi e stare a casa. All’università voleva studiare matematica, ma per il papà non era roba da donne; alla fine era riuscita a strappare l’iscrizione a medicina. Una volta all’università inizia a macinare esami, poi arriva la specializzazione in pediatria: «Grazie soprattutto all’appoggio di mio marito Dario, anche lui medico, e della sua famiglia».
Una volta al lavoro, si dedica con passione all’umanizzazione del reparto di pediatria.«Allora solo le mamme ricche potevano stare vicino ai loro figli, perché prendevano le camere a pagamento come dozzinanti». Quelle povere, invece, erano costrette a dormire per terra nei corridoi: «Spesso i colleghi maschi non le volevano tra i piedi: se lo immagina però un bambino ustionato, lasciato solo per settimane in una stanza? Le mamme aiutano anche a guarire meglio e più in fretta».
In seguito si dedica a un’altra battaglia: quella per la corretta alimentazione di bambini e adolescenti. La sua terapia comportamentale basata sull’ascolto e sulla personalizzazione della cura ottiene il 90 per cento dei successi, e Loredana Vido viene chiamata per dieci anni a insegnare scienze dell’alimentazione nelle scuole di specializzazione.
Poi la morte della madre, e a seguire la malattia e la morte del padre. Sembra arrivato il momento di tirare i remi in barca, quando la sua vita incrocia quella di Marco e della sua famiglia. L’impegno è preso, da allora la sua vita diventa una corsa per incontrare medici e madri, sensibilizzare e organizzare, raccogliere e distribuire fondi. E le amarezze non mancano, perché intanto cresce il business delle banche private, che promettono miracoli prelevando e crioconservando all’estero il cordone, peraltro a caro prezzo (si parla di oltre duemila euro, più una quota fissa annuale). «Si tratta di una pratica completamente inutile, dato che se il bambino ha una malattia genetica, questa sarà presente anche nel sangue cordonale – si arrabbia Vido – Allo stato attuale la donazione autologa è solo un mito, inoltre gli istituti privati operano senza alcuna sorveglianza o controllo». Con un’unica immediata conseguenza: quella di togliere a tanti bambini malati la speranza di guarire grazie a una donazione.
A un certo punto la stanchezza e l’ansia si sentono: nel 2012 arriva un infarto, e stavolta bisogna fermarsi veramente. O quasi«Ho lasciato il mio incarico all’Adisco, ma continuo a seguire e a collaborare al programma». E nel 2015 arriva una tragedia: la nipotina Sofia Grace, figlia del suo unico figlio, muore dopo pochi giorni di vita, a causa di una malattia rara legata alla proteina b surfactant. Ma anche questa volta la donna reagisce a modo suo: «È un segno anche questo, come per Marco. La cura per questa malattia non c’è ancora: dobbiamo trovarla!». Di nuovo incontri, viaggi; di nuovo raccolta fondi e lavoro a progetti. Con una motivazione in più.
Senza mai scordare Marco Compagno e la sua storia
Loredana non ha mai più visto né sentito quella donna e sua figlia: oggi vorrebbe incontrarle dopo 21 anni«Vorrei ridare loro le poesie di Marco… poi vorrei dirgli quanti bambini hanno salvato, numeri alla mano; che il loro ragazzo non è morto invano. Che dite, mi date una mano a trovarle?».