Storie
Centenario della Marcia su Roma. La violenza, un’eredità della Grande guerra
L’exploit. Lo scontro ideologico tra rossi e neri trovò la sua culla nelle trincee del primo conflitto mondiale
Come fu possibile tanta violenza dopo la fine della Grande guerra? Lo scontro ideologico tra rossi e neri (socialisti, comunisti e fascisti) trovò la sua culla nelle trincee. Gli armistizi del 1918 e la Pace di Versailles del 1919 non avevano portato veramente la pace. Milioni di persone prima del 1914 non avrebbero mai ucciso a cuor leggero. Dopo il 1918 lo avrebbero fatto con molta tranquillità. Questo spiega in parte la nascita delle squadre d’azione fasciste capaci di efferata violenza. Alla violenza ricorrevano anche i militanti della sinistra. C’erano in giro molte armi mai consegnate nonostante le reiterate leggi del Governo (600 mila fucili e 200 mila pistole). Le camicie nere disponevano di manganello, pistola, elmetto, bombe a mano, mitragliatrici spesso avute con la compiacenza dell’esercito. I socialisti invocavano la protezione della legge che carabinieri e polizia non riuscivano a garantire. Mussolini dalle pagine del Popolo d’Italia spiegava come avvalersi della violenza. Prima del tragico 10 giugno del 1924, il 10 marzo 1921 Giacomo Matteotti venne sequestrato e seviziato con un bastone. Lo squadrismo trovò apprezzamento anche in ambito liberal-democratico. Persino Alcide De Gasperi il 7 aprile 1921 approvava la violenza fascista contro la sinistra. Il monopolio statale della forza non era più nelle mani dello Stato e la marcia su Roma pochi mesi dopo lo dimostrerà.
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