Idee
Agricoltura e alimentazione. «In guerra vengono a galla le contraddizioni della politica Ue»
Si privilegia l’agribusiness ma l’80 % dei prodotti viene da singoli contadini
IdeeSi privilegia l’agribusiness ma l’80 % dei prodotti viene da singoli contadini
Paolo Groppo, agronomo vicentino, ha lavorato per oltre trent’anni alle questioni dello sviluppo e sottosviluppo alla Fao come esperto di riforme agrarie, agricoltura familiare, sviluppo territoriale e conflitti legati alle risorse naturali. Ha diretto per 15 anni la rivista della Fao Land Reform, Land Settlement and Cooperatives e pubblicato romanzi sui temi dei conflitti ambientali e del land grabbing. Da poco ha pubblicato in anticipo sui tempi di crisi che stiamo vivendo, La crisi agraria ed ecogenetica spiegata ai non specialisti (Meltemi Ed.), che fa seguito a Di chi è la terra? del 2019. Oggi in pensione, collabora con l’Università di Grenoble sulle questioni dello sviluppo e con il villaggio Agricoltura e giustizia dell’iniziativa The economy of Francesco, promossa da papa Francesco.
«Sfogliando i giornali di questi giorni, spicca l’allarme europeo, per il rischio di rimanere senza pane e pasta per la scarsità di scorte di materie prime come grano e mais, che potrebbero creare una possibile crisi alimentare, già oggetto di miei analisi passate, che però non potevano prefigurare scenari di guerra nel cuore d’Europa – osserva Paolo Groppo – Da anni si è consolidato da una parte un sistema bimodale con crescenti disuguaglianze tra grandi e grandissime aziende (agribusiness) e piccole e piccolissime imprese. A questo si deve aggiungere il ruolo crescente della grande finanza nel settore agrario, che induce processi decisionali esterni alle aziende e al settore agricolo, guidati dagli interessi speculativo- azionari. I risultati di questi processi sono: la progressiva trasformazione dei contadini in qualcosa di sempre più simile all’operaio di un tempo e lo sradicamento territoriale della produzione agricola, oramai dipendente da processi e attori finanziari sparsi in tutto il mondo, compreso l’uso di valori derivati, staccati dalla loro base materiale, che porta maggiore instabilità ai mercati agricoli e pressioni speculative sui mercati reali e sui prezzi dei prodotti (come stiamo assistendo), con effetti sulla sicurezza alimentare».
Malgrado tutto questo il contributo chiave alla produzione totale di generi alimentari viene dalle agricolture a conduzione familiare, con l’80 per cento del totale, coltivando il 70-80 per cento dei suoli agricoli. «La guerra alle porte di casa tende a farci dimenticare questa realtà: una produzione di base fatta da una miriade di contadini e contadine, che restano i grandi dimenticati della Politica agricola comune, il cui inserimento all’interno delle catene alimentari è fatto in condizioni di totale subordinazione al sistema dominato dalla grande distribuzione imperante, che decide cosa comprare, da chi e soprattutto i prezzi tendenzialmente sempre più bassi ai produttori, per lasciare un margine crescente agli azionisti. Ricordo che per 1 euro di spesa, solo 15 centesimi vanno agli agricoltori, il che crea uno squilibrio di mercato che andiamo denunciando da anni, ma con scarsi risultati». La crisi attuale ha una componente speculativa già denunciata da Fabio Truzzi, presidente di Assoutenti, che chiarisce come il primo problema non sia legato agli approvvigionamenti, bensì all’aumento dei prezzi, tanto della materia prima come dei costi di produzione.
«Un’addizione esplosiva che porta a fare volare i prezzi – sostiene Groppo – Se è vero che l’Italia produce appena il 36 per cento del grano che ci serve, le possibili risposte sulle scorte del mondo contadino, sono: l’aumento della produzione interna di grano e mais, visto che in Italia esistono 700 mila ettari di terre agricole non utilizzate, di proprietà demaniali o di enti pubblici che potrebbero essere sfruttate, potendo così favorire l’accesso alla terra da parte di giovani senza capitali. Calcolando poi che Russia e Ucraina sono grandi esportatori di concimi-fertilizzanti, la crisi attuale potrebbe costituire un incentivo verso pratiche agro-ecologiche meno impattanti per il nostro suolo e più salutari per noi. Sulla stessa linea si potrebbe rafforzare il modello di governance territoriale dei biodistretti, all’interno del lavoro in corso sui contratti di filiera che saranno finanziati per 1,2 miliardi grazie al Pnrr».
Nonostante la crisi, dunque le soluzioni non mancano, almeno per quanto riguarda l’Italia. «Soluzioni ce ne sono, e alcune sono già in pista. Resta da vedere se si vorrà profittare di questo conflitto per trasformarlo in un’occasione per accelerare verso una svolta del modello agricolo, riequilibrando le dinamiche di potere verso il mondo contadino, creando lavoro per i giovani. Qui ci giochiamo l’opzione futura – conclude l’agronomo– Il rischio è quello di restare schiacciati da un sistema alimentare controllato dal mondo industriale e finanziario, fondato sulle logiche speculative di breve termine, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti, anziché mettere le basi per un nuovo “patto” di lungo termine tra madre terra e noi, come indicato dalla stessa enciclica Laudato sì di papa Francesco».