Idee
80 anni di Acli. L’impegno per i fragili
Le Acli nacquero 80 anni fa e allora come oggi l’attenzione è verso le fasce più deboli. Per i lavoratori la richiesta è un salario dignitoso
IdeeLe Acli nacquero 80 anni fa e allora come oggi l’attenzione è verso le fasce più deboli. Per i lavoratori la richiesta è un salario dignitoso
Le Acli, nel 2024, compiranno i primi 80 anni di attività. Era il 1944, infatti, quando prese vita un movimento dal basso che aveva l’obiettivo di tutelare la dignità del lavoro e supportare i lavoratori e le lavoratrici in un’Italia sconvolta da un ventennio di regime e dalle conseguenze della guerra. Oggi, 80 anni dopo, le Acli sono il punto di riferimento per oltre 900 mila iscritti, ma non solo perché annualmente, attraverso i vari servizi, vengono raggiunti almeno tre milioni di persone grazie a una diffusione capillare sul territorio. Molti sono poi i progetti che nei territori supportano persone e famiglie nelle povertà materiali. Ed è per questo che per Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli presente a Montegrotto Terme lo scorso 21 dicembre per un appuntamento associativo, il tema che gli sta più a cuore «è restare vicini alle comunità e alle persone, nelle loro fragilità e necessità di tutti i giorni, interpretarne i bisogni e fornire risposte efficaci e immediate. Ma, a questo ascolto, va unita anche la proposta: per questo ripeto spesso non dobbiamo aver paura di fare politica in senso ampio, facendoci carico di quelle esigenze per stimolare le istituzioni a intervenire o per sperimentare nuovi modelli economici e sociali».
Manfredonia, uno sguardo al Veneto che ha chiuso l’anno con l’ennesima vittima sul lavoro. Non possiamo distogliere lo sguardo, non più: che azioni vanno intraprese? «Le morti sul lavoro, ancora oggi, sono una piaga inaccettabile. Gli ultimi dati dell’Inail rilevano che, nei primi otto mesi, sono stati denunciati 657 incidenti mortali sul posto di lavoro. Dobbiamo fermare quella che è una vera e propria strage: siamo molto felici di leggere, da qualche mese, di un’occupazione in crescita, ma dobbiamo anche chiederci di che tipo di occupazione stiamo parlando. Non possiamo certo usare toni trionfalistici se si tratta di un’occupazione insicura, fragile, precaria e, purtroppo, anche rischiosa. Per questo, dobbiamo non solo investire nella formazione, che garantisca un’autentica presa di coscienza, ma anche sugli incentivi da assegnare a quelle imprese che scelgono di puntare sulla sicurezza e sulla salute dei propri dipendenti. Inoltre, è fondamentale che lo Stato prenda in mano il sistema dei controlli e delle verifiche, potenziando le risorse e le competenze degli organi ispettivi, non solo per fornire un deterrente ma anche per poter offrire ai datori di lavoro un punto di riferimento con cui confrontarsi per individuare le soluzioni più efficaci per tutelare la salute di tutti i lavoratori. Ritengo poi che il ruolo dei cosiddetti Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls), vere e proprie sentinelle nei luoghi di lavoro, debba essere maggiormente valorizzato».
Le Acli sono vicine anche a pensionati, lavoratori o semplici cittadini fragili, vulnerabili. Il Governo può impegnarsi maggiormente? «Le Acli, anche attraverso l’attività del patronato e del Caf, erogano servizi che interessano ampie fasce della popolazione. Occuparsi quotidianamente dei nostri anziani non autosufficienti, ma anche dei giovani lavoratori e delle giovani lavoratrici, così come dei pensionati e delle famiglie più fragili, ci mette a contatto con la vera realtà del nostro Paese. Per questo, come abbiamo fatto anche per la recente legge di Bilancio, chiediamo al Governo di aprire un confronto serio e approfondito su diversi temi, che non si possono esaurire in un tempo elettorale breve ma con lungimiranza e quindi con interventi strutturali, quelli magari che non danno un ritorno elettorale immediato, che non badano alla pancia dell’elettore ma alla sostanza, al cambio di paradigma. Occorre intervenire su criticità come il lavoro povero, l’insostenibilità del sistema previdenziale o le carenze strutturali del welfare e del sistema di tutela per i soggetti non autosufficienti e le loro famiglie».
Parità salariale e salario minimo sono temi di cui si è parlato maggiormente nel 2023 rispetto agli anni passati. Ci saranno novità nel 2024? «Da quando la direttiva sul salario minimo è entrata nel dibattito pubblico del Paese, ho ribadito più volte quale fosse, almeno a mio avviso, la vera questione in ballo. L’introduzione di un salario minimo è un primo passo in avanti, a cui però far seguire misure imprescindibili per l’introduzione di tutele minime, che oltre al reddito si concentrino, appunto, su welfare e sicurezza sul lavoro. Ci troviamo di fronte, come ha evidenziato una ricerca realizzata dall’Area lavoro delle Acli in collaborazione con l’Iref e il Caf Acli, a uno scenario preoccupante, nel quale un lavoratore su cinque si trova in povertà nonostante sia occupato. Non possiamo accettarlo: l’articolo 36 della nostra Costituzione, del resto, spiega che la paga di ogni lavoratore debba essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e che debba “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” e di recente più sentenze della Corte di Cassazione ci hanno ricordato che a quel “livello” dobbiamo tendere, non a “minimi” di qualsiasi sorta. Non dimenticandoci, ma anzi valorizzando, la grande tradizione di autonomia collettiva e relazioni industriali che abbiamo nel nostro Paese credo che, a questo punto, sia inevitabile un intervento legislativo ad hoc. Per parte nostra, stiamo lanciando un progetto di ricerca per istituire un indice sull’esistenza libera e dignitosa in modo da poter offrire un parametro utile e utilizzabile per individuare quello che potremmo definire un “salario dignitoso”».
Dopo quattro anni, il Reddito di Cittadinanza ha concluso il suo “servizio”. In questi anni ha generato perplessità e approvazioni, ora però si aprono nuovi interrogativi… «Negli ultimi mesi abbiamo portato all’attenzione dell’opinione pubblica numerosi temi che, indipendentemente dall’anno, non possono essere espunti dall’elenco di esigenze collettive a cui dover far fronte: penso alla riforma strutturale del sistema previdenziale, che possa essere alla portata anche dei giovani lavoratori, ma anche il contrasto alla povertà e, per quanto ci riguarda, il ruolo del Terzo settore nella co-progettazione e co-programmazione con l’amministrazione pubblica, come indicato dalla relativa riforma e dal Pnrr. In ultimo, poi, va ricordato che dal 1° gennaio è completamente abrogato il Reddito di Cittadinanza: uno strumento che, come abbiamo spesso ribadito, poteva e doveva essere migliorato. Negli anni, però, soprattutto durante l’emergenza sanitaria, ha svolto un fondamentale ruolo di sostegno per molte famiglie. La sua abolizione pone diversi interrogativi – e già abbiamo visto alcune difficoltà applicative per l’assegno di inclusione e per il nuovo cosiddetto supporto per la formazione e il lavoro – per centinaia di migliaia di persone fragili: a queste persone, in primo luogo, dovremo rivolgerci cercando di fornire soluzioni alla loro condizione di indigenza. La povertà non è una colpa, e in questa società altamente competitiva e fragile nel sistema del welfare è facile cadere in stato di povertà relativa, quindi guardare sempre ai poveri, agli ultimi della fila, ai fragili. Dobbiamo rivolgere a loro la nostra attenzione e questo pensiero non deve farci dormire la notte sino a che non troveremo strumenti adatti per rispondere alle loro esigenze».
«Nel 2022, poco più del 10 per cento dei sindaci eletti era under 40 (donne ancora meno). Alle ultime elezioni politiche, il minor tasso di affluenza si è registrato proprio nella fascia tra 18 e 34 anni. Così, il nostro Paese si priva del coraggio e della forza propulsiva per il cambiamento che è insita nei giovani. Su questo tema, così come stiamo lavorando con un gruppo di giovani ricercatori in diritto pubblico e diritto costituzionale, per 2 proposte di legge popolare che vorremmo condividere con altre associazioni, lanciando una raccolta firme nel 2024».
Secondo una sentenza della Cassazione di ottobre, un contratto nazionale di lavoro non è più un punto fermo se a esso corrisponde una busta paga troppo misera: «Se non è dignitoso, il contratto di lavoro non vale».