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New York fa causa ai social: a rischio la salute dei giovani
«Tossine ambientali» li ha definiti il sindaco della Grande Mela, Eric Adams. Ma tra l’essere dannosi o essere opportunità, centrale è il ruolo dei genitori
Idee«Tossine ambientali» li ha definiti il sindaco della Grande Mela, Eric Adams. Ma tra l’essere dannosi o essere opportunità, centrale è il ruolo dei genitori
«Aziende come TikTok, YouTube, Facebook stanno alimentando una crisi di salute mentale progettando la loro piattaforma con funzionalità pericolose e avvincenti. Non possiamo restare a guardare e lasciare che la grande tecnologia monetizzi la privacy dei nostri figli e metta a repentaglio la loro salute mentale». Un duro ammonimento, quello del sindaco di New York, Eric Adams, rivolto alle piattaforme social che a metà febbraio si è tramutato in azione legale: la città della Grande Mela ha, infatti, sporto denuncia contro TikTok, Meta, Snap e Alphabet. «Un’azione di questa portata doveva arrivare da un colosso e siccome queste aziende hanno un mercato così ampio non poteva che arrivare da New York – commenta Matteo Pettenò, pedagogista e media educator – Le aziende tirate in causa si sono prontamente difese dicendo che da anni offrono ai giovani, all’interno delle piattaforme, percorsi per chi ha bisogno di aiuto, una cosa senz’altro bella, ma non è così facile accedervi. Durante i recenti Safer Internet Day abbiamo più volte chiesto a queste aziende come agiscono in ascolto dei ragazzi, le risposte sono vaghe: opinione mia, sono contentini perché ricordiamoci che il loro interesse è quello di ingaggiare utenti».
L’azione legale di New York può essere “emulata” anche da altre città/organizzazioni?«È una scossa che può portare a delle conseguenze, in qualche maniera le stesse aziende dovranno prendere provvedimenti e il mondo civile può agire. Come pedagogista mi auguro non sia una cosa passeggera perché è ancora troppo facile per i giovani, soprattutto minorenni, accedere ai social che sarebbero invece esclusivi ai maggiori di 18 anni. È facile fingere l’età online, ma questo è un problema anche per i giovani content creator che subiscono attacchi in rete da chi nasconde la propria vera identità. Una soluzione potrebbe essere l’introduzione della carta d’identità digitale solo che subentra un altro problema: consegneremmo i nostri dati sensibili, che nel web sono preziosi e generano soldi perché possono essere utilizzati per profilare prodotti o interessi».
Questo però precluderebbe la presenza sui social e anche il loro utilizzo virtuoso e positivo da parte dei minorenni. Perché non tutto è marcio… «Io non voglio demonizzare e mai demonizzerò i social perché hanno portato aspetti positivi nella quotidianità. A livello basilare, i social network hanno la funzione di metterci in contatto, parlare con persone distanti che non necessariamente conosciamo, ma questo lo sanno tutti, mi verrebbe da dire. Il mio messaggio pedagogico parte dal presupposto che l’uomo è un essere che vive di relazioni: sin da quando siamo nati, tutti noi siamo alla ricerca di quella che la pedagogia chiama forme di riconoscimento e di gratificazione, cioè il riconoscerci in un’altra persona e sentirci gratificato. Pensiamo ai genitori quando nasciamo: li vediamo e ci sentiamo gratificati. Questo è per sottolineare che ci sono persone che si riconoscono in cose che nella loro vita non potevano vedere senza l’avvento dei social. E questa è la ragione per cui sono così presenti nella nostra vita: non escludono nessuno».
Il sindaco di New York, però, li ha definiti «tossine ambientali». Giovani, salute mentale, social, tre elementi in relazione con un delicatissimo equilibrio. Ma allora quando da opportunità diventano tossici? «L’ago della bilancia sono i genitori. Loro sono “immigrati digitali” perché hanno dovuto intromettere questa tecnologia nella loro vita; i figli sono, invece, “nativi digitali”. E qui si rompe la catena in cui è solitamente il figlio che rivolge domande e curiosità a mamma e papà, sia perché su internet si può accedere facilmente a qualsiasi informazione, ma anche perché molte domande tecnologiche (dal banalissimo cellulare bloccato) sono propri i genitori a farle. Forse a livello storico, per la prima volta c’è un’inversione dei ruoli. Per esperienza dico che i genitori devono ascoltare e relazionarsi, devono interessarsi alla vita dei ragazzi, dimostrarsi curiosi per un videogioco o per un social a cui loro tengono particolarmente. Perché ragazze e ragazzi hanno voglia di raccontarsi, qui si sentono gratificati. Non ha senso imporre un’ora di utilizzo dei social e un’ora di dialogo, le cose possono essere connesse. E poi guardiamo noi stessi: chi ha più un orologio digitale sul comodino come sveglia? Lo smartphone è la prima cosa che guardiamo quando ci svegliamo».
Facebook lo scorso 4 febbraio ha compiuto 20 anni di vita. In tantissimi Paesi tra Africa e Asia è ancora una piattaforma in forte crescita, fondamentale insieme a WhatsApp per accedere a moltissimi servizi essenziali. In Europa e negli Stati Uniti, invece, la popolarità del servizio tra le fasce più giovani della popolazione è in calo da anni.
Il New York Times ha fatto causa a OpenAI e a Microsoft accusando le due aziende di aver usato i suoi articoli, protetti da diritto d’autore, per sviluppare i propri sistemi di intelligenza artificiale generativa, come ChatGpt.