Idee
Stanze panoramiche. Solo noi, terra e cielo. Via libera della Regione Veneto alla loro costruzione
Stanze panoramiche Via libera della Regione Veneto alla loro costruzione anche “in quota”. Non tutti però esultano...
Stanze panoramiche Via libera della Regione Veneto alla loro costruzione anche “in quota”. Non tutti però esultano...
Il naso all’insù a guardare il cielo stellato, quasi a poterlo toccare; alternativa, un’indimenticabile alba o il tramonto. Poterlo fare in alta montagna fa la differenza perché lì solitamente non c’è l’inquinamento luminoso che caratterizza le zone densamente abitate e l’aria, essendo pulita, lascia scorgere all’osservatore quei fenomeni in tutta la loro bellezza e unicità. Lo stupore prende il sopravvento. E chi ha vissuto questo tipo di esperienza – rimasta impressa nella memoria – l’ha fatto presumibilmente sdraiato su uno stuoino, spesso talmente esiguo da percepire in pieno le irregolarità del terreno. Allora, perché non farlo dentro una stanza con delle vetrate affacciate tra il cielo e la terra, sdraiati comodamente su di un talamo, a una temperatura confortevole? Non è un sogno ma una realtà, almeno in Veneto. È con un comunicato del 27 febbraio scorso che il Consiglio regionale mette nero su bianco l’approvazione di un progetto di legge che introduce delle modifiche alla legge regionale del 14 giugno 2013 sullo “Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto”, che autorizza la costruzione di stanze panoramiche anche in quota. Così il testo: «Con i voti della maggioranza l’assemblea legislativa del Veneto ha detto “sì” (35 voti a favore e 9 contrari) alla legge che inserisce tra le nuove tipologie di “struttura ricettiva in ambiente naturale” le stanze di vetro e legno, ad alto impatto emozionale, anche ad alta quota, sopra i 1.600 metri di altitudine, dove sinora le norme urbanistiche ammettevano solo la presenza di bivacchi, rifugi e malghe». Sono 86 i comuni di montagna con un territorio sopra 1.600 metri che potranno autorizzare – massimo due stanze per Comune – le nuove costruzioni ricettive, per un totale di 172. Dovranno quindi rispettare altre condizioni: «Avranno al massimo due posti letto per stanza, dovranno essere realizzate in “vetro e legno o altro materiale, anche innovativo, ecosostenibile o comunque di basso impatto”, saranno collocate stabilmente sul suolo ma “facilmente rimovibili”». Infine, tra i criteri di costruzione, c’è il fatto che non potranno essere realizzate oltre i cento metri in linea d’aria da una stazione di impianto a fune o da una struttura ricettiva esistente, compresi rifugi alpini, bivacchi e malghe «raggiungibili tramite la viabilità già esistente». Nel comunicato diramato si rimarca il fatto che avranno un «basso impatto ambientale». Voci di dissenso alla legge si sono levate da più fronti. Non si è fatto attendere il Club alpino italiano (Cai) che, sin da quando si è iniziato a discutere a livello regionale dell’approvazione di una legge, ha espresso la sua contrarierà. A parlare è il presidente regionale Renato Frigo: «Non ci siamo mai dichiarati d’accordo su questo genere di iniziativa perché si va a modificare, con una deroga, la legge numero 431 dell’8 agosto 1985 – nota come legge Galasso – che vietava la costruzione a livello nazionale di edifici al di sopra dei 1.600 metri di quota, se non rifugi, bivacchi e costruzioni legate agli impianti di risalita. Queste stanze sono segno di un’ulteriore colonizzazione della montagna». Il presidente spiega che questo tipo di opere non porterà effettivi benefici alla montagna, a chi desidera viverla veramente e per chi la abita, in quanto potranno accedervi solamente «persone ricche in grado di permettersi l’affitto di questi locali, casomai accedendovi in elicottero e con mezzi motorizzati. È una legge a beneficio e per l’interesse di pochi. Questo turismo mordi e fuggi, così impattante per l’ambiente, non è la modalità che riteniamo debba essere vissuta. Crediamo che la montagna necessiti di essere affrontata con umiltà, con i tempi che ha. E questo porta a un turismo molto più lento, più vicino alle esigenze autentiche delle persone, fatto soprattutto di passeggiate e di conoscenza dell’ambiente naturale. Un turismo cosiddetto sostenibile, attento a un uso responsabile del territorio». L’interesse dell’associazione, che solo nel Veneto conta 60 mila soci, è salvaguardare il territorio montano permettendo alle persone di viverci. «Con queste strutture ciò non avviene – prosegue Frigo – Il caso emblematico è Cortina dove un turismo e opere irrispettose dell’ambiente e di chi vi abitava hanno portato a uno spopolamento di quelle terre». Per il responsabile, questa norma avrebbe dovuto essere il frutto di un confronto tra diverse realtà culturali, economiche e associative parte del tessuto sociale che ha a cuore le terre alte, potendo mettere in campo competenze e professionalità. «La voce del Cai è rimasta inascoltata da chi ha il potere legislativo. Era necessario un confronto, ciascuno con le proprie responsabilità. Abbiamo assistito a un’imposizione della legge», conclude amareggiato.
Anche per Mauro Varotto, docente di Geografia e Geografia culturale al corso di laurea in Scienze per il paesaggio all’università di Padova ed esperto di questioni legate alla montagna, questa norma presenta diverse criticità. «Le stanze panoramiche semplificano l’approccio alla montagna che dovrebbe avere il turista, riducendolo a un’esperienza estetica, un rapporto “televisivo” con la natura. Così non si relaziona se non superficialmente con tutto ciò che lo circonda». Per lo studioso c’è in gioco la tematica della sostenibilità, che «non è solo una questione di eco-tecnica, cioè di tecnologia realizzata con materiali green, rinnovabili (non basta una struttura di legno per essere sostenibili!). La sostenibilità ha a che fare piuttosto con l’eco-tattica, ovvero con i comportamenti e quindi con il modo in cui ci relazioniamo all’interno di una realtà, di un ambiente. È fatta di conoscenza e di consapevolezza di ciò che ci circonda, non solo di panoramic viewpoints (punti panoramici). Nel caso delle stanze panoramiche dobbiamo chiederci che impatto ambientale avrà la presenza umana, catapultata lassù, ad esempio sotto l’aspetto della luminosità, dei comportamenti o dei trasporti in alta quota: credo che in questa fase di crisi ecologica e climatica l’unico modo per fare un passo avanti sia fare un passo indietro». Lo studioso non sottovaluta il fatto che queste strutture potranno portare benefici economici per chi li gestirà: «Mi domando però se oggi la montagna abbia bisogno di insistere su modelli turistici di questo tipo oppure necessiti di ripensarsi. Siamo chiamati a leggere quelle zone oltre la “bolla” turistica dell’ultimo secolo, per orientarle al rispetto degli equilibri complessivi delle terre alte. La montagna è stata sicuramente arricchita dal turismo, ma è stata anche fortemente depauperata dal punto di vista ambientale e culturale nel momento in cui è stata pensata come un grande parco giochi, e le stanze panoramiche temo vadano in questa direzione: la montagna intesa come panorama a mia disposizione. Al primo posto c’è chi abita le terre alte, e il turismo dovrebbe essere in funzione di questo aspetto, non il contrario, ovvero l’abitante costretto a inseguire l’ultima moda turistica». Per Loris Giuriatti, padovano, guida ambientale ed escursionistica nonché esperto di storia, la legge in questione pone una problematica principale: l’adeguatezza delle persone che dovranno raggiungere queste strutture. «È necessario che il turista che accede a queste stanze – comunque da capire il come – non sia improvvisato, ma che abbia una certa esperienza e competenza di montagna». Lo scrittore vedrebbe la positività della legge approvata dal Consiglio regionale del Veneto, là dove si ricavassero queste stanze dalla sistemazione di bivacchi dismessi sull’arco alpino. In tutto questo dibattere sulle opportunità o meno offerte dalla legge… si avverte un po’ di nostalgia dello stuoino!
A fine febbraio il Consiglio regionale veneto ha approvato un disegno di legge che autorizza la costruzione di stanze panoramiche (massimo due per Comune, con due posti letto ciascuna) sopra i 1.600 metri di quota. Sono 86 i comuni interessati.