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A Fratelli d’Italia servono intellettuali preparati e un salto di qualità
Marco Tarchi docente di Comunicazione politica e Analisi e teoria politica analizza la situazione italiana, fra contraddizioni e pensiero “post-fascista”
IdeeMarco Tarchi docente di Comunicazione politica e Analisi e teoria politica analizza la situazione italiana, fra contraddizioni e pensiero “post-fascista”
«Fratelli d’Italia dovrebbe disporre di una classe dirigente meno incline a gaffes e atteggiamenti fuori luogo. Bisogna vedere se, nel giro dei prossimi due-tre anni, un salto di qualità avverrà». Così Marco Tarchi, 72 anni, professore emerito dell’Università di Firenze, dove insegna Comunicazione politica e Analisi e teoria politica. Espulso dal Msi nel 1981, ha animato la “nuova destra”. Ha pubblicato recentemente Le tre età della fiamma. La destra in Italia da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni (Solferino).
Due anni di Giorgia Meloni a palazzo Chigi consentono un primo giudizio fra mandato elettorale e concretezza esecutiva. Qual è? «Quello che si attaglia a tutte le forze politiche che, dopo lunghi periodi di opposizione e prese di posizione radicali, approdano a ruoli di governo: l’intransigenza che avevano mostrato durante le campagne elettorali sfuma immediatamente e si trasforma in (presunto) “realismo”. Del programma che l’ha portata alla presidenza del Consiglio, Meloni ha conservato e attuato solo qualche paragrafo. Va riconosciuto che qualcosa di concreto il Governo lo ha fatto. Resta da vedere se l’ambizione di condurre in porto una vera riforma istituzionale avrà davvero seguito».
Fratelli d’Italia sembra politicamente “in mezzo al guado”, un po’ come lo fu il Pci di Berlinguer. Come si passa, fino in fondo, dal partito di lotta a quello di governo? «Accettando la logica delle mediazioni e dei compromessi, che è irrimediabilmente legata, nel bene e nel male, alle dinamiche delle democrazie parlamentari. E scaricando sugli altri la responsabilità degli obiettivi che non si è (perlomeno ancora) riusciti a raggiungere. Il ruolo di partito di lotta FdI è costretto a lasciarlo alla Lega. Per FdI il rischio di deludere una parte dell’elettorato c’è».
Gli scenari nell’Unione Europea e negli Usa di Trump, nell’epoca delle guerre diffuse, evidenziano contraddizioni nella destra italiana? «Certamente, anche perché la coalizione di governo è un aggregato di un partito post- e a-fascista, che comunque a destra vuole stare, con un partito populista che, se potesse, continuerebbe a dichiararsi “oltre la destra e la sinistra” e un partito centrista non alieno dallo strizzare l’occhio alle componenti moderate del centrosinistra. La fedeltà incondizionata ai progetti di Nato e Usa, di fronte a vicende di straordinaria gravità come i massacri in atto a Gaza, e l’intestardimento nel sostenere ad oltranza l’Ucraina in una guerra che o sarà persa o sfocerà in un conflitto mondiale, potrebbe alla lunga rivelarsi un boomerang».
Intellettuali e classe dirigente: davvero il pensiero “post-fascista” non sa produrre egemonia nelle stanze dei bottoni? «Di egemonia culturale, in Italia, ce n’è da molti decenni una sola. Ha cambiato gergo e simboli, ma non direzione ed esponenti, esprimendosi oggi nel progressismo dell’ideologia dei diritti dell’uomo, dell’universalismo no border e nelle cause woke. Le sue roccaforti sono intatte e per sbancarle occorrerebbe una forza d’urto fatta di intellettuali preparati e disposti a resistere ad emarginazione e diffamazioni. Si preferisce venire a patti con lo spirito del tempo oggi dominante, cercando legittimazione dagli avversari e mettendo sempre più in sordina le opinioni troppo sgradite».
Infine, si profila un’Italia sempre meno Nazione, votata alla periferia globale, di nuovo popolo di emigranti? «C’è da temerlo. Ed è un paradosso per chi alla Nazione vota, a parole, un culto quotidiano».