IdeeSergio Mattarella il 31 dicembre scorso ha prunciato il suo decimo discorso di fine anno. Alcuni passaggi possono orientare scelte e comportamenti per un 2025 migliore
Il proposito di Mattarella era di «esprimersi in modo sincero, dunque con concretezza, sui nodi problematici che attraversano le nostre società». Tra i tanti commenti scritti sul decimo discorso di fine anno del nostro presidente della Repubblica, questo passaggio comparso sul Corriere della sera credo ci aiuti a cogliere due elementi utili per iniziare il nuovo anno: sincerità e concretezza. Essere sinceri in politica non è semplice; per alcuni è addirittura impossibile. Infatti, significa dire come stanno realmente le cose, senza nascondere la verità per fini ideologici o tornaconti elettorali. Il presidente ha voluto presentare agli italiani la realtà così com’è. Un esempio è il passaggio in cui, citando fonti ufficiali, afferma che dal 2013 al 2024 c’è stata una «forte riduzione degli omicidi volontari, delle rapine, dei furti nelle abitazioni». Dalle notizie e dal sentire comune sembrerebbe proprio il contrario. Una grande responsabilità di questa contraddizione ricade sui mezzi di comunicazione, senza però dimenticare che ci sono anche «molti giornalisti che rischiano la vita per documentare quel che accade». Nel presentare la verità del periodo che stiamo vivendo, il presidente mette innanzitutto in luce i risultati positivi sull’occupazione, sull’export, sul turismo e anche sul vero significato del termine “patriota”. Questo non ha a che fare con ideologie nostalgiche, ma con chi ogni giorno svolge bene il proprio lavoro, mettendoci passione, professionalità e dedizione: anche il lavoro ha una sua dignità, diceva Primo Levi. Mattarella, però, non risparmia di sottolineare le ombre che avvolgono la nostra Nazione e il mondo intero: dalle guerre ai femminicidi, senza dimenticare l’emergenza giovanile, le morti sul lavoro. Non nasconde nemmeno le contraddizioni di un mondo che, per armarsi, spende otto volte di più rispetto a quanto investe per contrastare un conclamato nemico che sta distruggendo il nostro pianeta: il cambiamento climatico.
Oltre a essere sincero, il discorso del presidente è anche concreto. Spesso contrapponiamo concretezza e idealità, come se le persone concrete non avessero idee e fossero solo legate al fare. Il termine “concreto”, invece, ha un significato più profondo e deriva dal latino cum-crescere, cioè crescere insieme, educarci tenendo insieme ciò che oggi tendiamo a dividere: la materia dallo spirito, la nostra dimensione esteriore da quella interiore, il finito dall’infinito, il tempo dall’eternità, l’agire dall’etica che lo ispira. L’uomo concreto, infatti, è colui che ha imparato a far maturare tutte queste dimensioni: la materialità della vita, senza trascurare la dimensione spirituale ed etica, i valori e l’ideale. La donna e l’uomo concreti non sono ripiegati solo sul fare, né proiettati esclusivamente sull’ideale, ma tengono insieme la complessità della vita, che spesso è contraddittoria e paradossale, mescola gioie e dolori, momenti in cui ci sembra di toccare il paradiso e altri in cui sprofondiamo all’inferno. Questa è la vita, non l’idea che ci siamo fatti. Mattarella, nella sua riflessione, ha saputo tenere insieme le tante dimensioni dell’umano. Nel suo discorso si coglie come le “faglie profonde” che attraversano la nostra società possano essere superate solo se abbiamo il coraggio di affrontare anche le “faglie etiche”, che generano quei disagi che preoccupano il presidente. Infatti, sono proprio le lacerazioni interiori – etiche – a dare origine a quelle esteriori. Essere donne e uomini concreti significa, dunque, impegnarsi per curare la società e il pianeta dalle tante ferite che lo attanagliano, senza dimenticare di curare anche le nostre ferite interiori. E queste, usando le parole del presidente, devono essere sanate, prima di tutto, con il balsamo del rispetto, che nel suo etimo significa “guardare indietro”, ossia non dimenticare nessuno, compresi i criminali che stanno scontando la loro pena in carcere. Inoltre, va recuperata la fiducia, che nel suo significato antico rimanda a una corda che ci tiene legati gli uni con gli altri, salvandoci dalla «forza centrifuga, capace di dividere, allontanare e radicalizzare le contrapposizioni». Infine, ricollegandosi all’anno giubilare, Mattarella invita tutti a fare propria la virtù della speranza, che non è «un’attesa inoperosa». La speranza siamo noi, quando ci impegniamo in quello che facciamo con tutta la passione di cui siamo capaci. Qui si avverte l’eco di un passo di Benedetto XVI che, nella sua enciclica Spe Salvi, definisce la speranza in questo modo: «Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, anche il presente diventa vivibile». Chi crede e spera in questa vita non si ritira dalla scena sociale, politica o lavorativa per non contaminarsi, ma vi si immerge con tutto l’entusiasmo possibile, sapendo che il futuro sarà positivo perché segnato dalla Vita.
Non è mancata, nelle parole del presidente della Repubblica, l’attenzione alla madre delle sfide a cui l’umanità è chiamata: il cambiamento climatico. A questa impresa imprescindibile vengono stanziate tuttavia risorse troppo ridotte, come sottolinea Mattarella: «La crescita della spesa in armamenti, innescata nel mondo dall’aggressione della Russia all’Ucraina – che costringe anche noi a provvedere alla nostra difesa – ha toccato quest’anno la cifra record di 2.443 miliardi di dollari. Otto volte di più di quanto stanziato alla recente Cop 29, a Baku, per contrastare il cambiamento climatico, esigenza, questa, vitale per l’umanità. Una sconfortante sproporzione».
