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Trump? Più forte ed esperto. E preoccupano le disparità crescenti
Il controllo repubblicano oggi si estende anche su Camera, Senato e Corte Suprema. Preoccupa la forte concentrazione di ricchezza nelle mani di un americano su 10
IdeeIl controllo repubblicano oggi si estende anche su Camera, Senato e Corte Suprema. Preoccupa la forte concentrazione di ricchezza nelle mani di un americano su 10
Chiusa la parentesi del secondo presidente cattolico dopo John Fitzgerald Kennedy (1961-63), nella studio ovale della Casa Bianca ritorna il tycoon in groppa all’elefante che sembra non addomesticabile. Degli States all’epoca del Giubileo offre un affresco Stefano Righi, padovano rimbalzato fino al Corriere della Sera (caposervizio, attualmente all’inserto L’Economia). «Donald Trump ha smentito l’assunto che l’alta partecipazione elettorale combacia necessariamente con il successo democratico. A novembre ha votato il 63,7 per cento, percentuale che non si registrava da decenni. E gli elettori americani, penso soprattutto donne, neri e minoranze, hanno scelto Trump fino a farlo vincere nei sette Stati che alla vigilia erano in bilico», evidenzia subito Righi che da lustri si è abituato a essere un “pendolare” con la famiglia residente a Denver.
Come si prospetta il secondo mandato presidenziale di Donald Trump? «Oltre alla Camera dei rappresentanti, i repubblicani hanno la maggioranza del Senato con 53 seggi contro 47. E controllano anche la Corte Suprema. Trump, dunque, è più forte e ora perfino più esperto, perché sa bene che la dialettica politico-amministrativa è diversa dalla campagna elettorale. Certo, ha già 78 anni e il ruolo logora quotidianamente. Ha una personalità irrituale, tuttavia può contare su James David Vance che di anni ne ha 40 e interpreta l’America cui guarda Trump. Nel 2016 ha pubblicato il libro di memorie autobiografico Elegia americana che, appunto, fotografa la crisi della classe media. Se un personaggio come Elon Musk terrorizza, Vance ha i piedi per terra tanto che potrebbe diventare il prossimo presidente».
Va in archivio il secondo inquilino cattolico della Casa Bianca… «Negli ultimissimi giorni del suo mandato, Joe Biden ha dovuto rinunciare a incontrare papa Francesco più a causa delle sue condizioni fisiche che dell’incendio a Los Angeles. Non so se si dovranno attendere altri 60 anni per un altro presidente cattolico, come dopo JFK con Biden. Di sicuro resteranno nella storia gli ultimi mesi di grande imbarazzo a causa dei Democratici che hanno cercato di riproporlo, finché non è stato più sostenibile. Trump ha vinto anche grazie al confronto televisivo con un avversario fisicamente debole, provato dall’età e improponibile per altri quattro anni. Ma occorre onestamente riconoscere che proprio Biden ha fatto bene all’economia americana».
Ma i conti degli States parlano di un debito pubblico di oltre 30 mila miliardi di dollari. Quali sono gli indicatori da non dimenticare? «Il trattato di Maastricht per l’Unione Europea indica nel 3 per cento il rapporto fra deficit e Pil. Oggi negli Usa la percentuale è doppia. Ma l’economia va bene, c’è grande ottimismo e Wall Street promette di crescere ancora. Una spinta sostenuta, di fatto, dai consumi interni. Se si analizza l’insieme dell’economia americana, ci sono due ombre sullo sfondo: il debito e il fatto che questi consumi determinano il 70 per cento del Pil. Ma, a loro volta, sono per il 50 per cento creati da una fetta esigua della popolazione: meno del 10 per cento. Quindi la forchetta si sta allargando fra chi può spendere e chi no, mentre viene sempre meno la classe media. L’altra ombra riguarda la famiglia-tipo Usa che fatica ad arrivare a fine mese: in dieci anni ha perso il 20 per cento del potere d’acquisto. Il pericolo? Si è passati dai billion ai trillion con una dilatazione della ricchezza che però è solo per pochi».
Che strategia avrà la nuova Amministrazione Trump? «La globalizzazione ha segnato il passo. E le aziende italiane sono già preoccupate per i dazi che colpirebbero moda, generi di lusso, ma anche i nostri prodotti agro-alimentari. Sono inevitabili, perché sarà così che Trump finanzierà quel poco di Welfare che c’è negli Usa. I benefici fiscali che Trump adottò nel 2016 scadono l’anno prossimo e occorre rifinanziarli con 4 trilioni di dollari in dieci anni. Soldi che non possono essere a debito né colpendo gli americani. Dunque, si tassano le merci in entrata con i dazi».
Ancora niente donne al 1600 di Pennsylvania Avenue, la Casa Bianca, e vita difficile per le minoranze… «Fino a questo momento, effettivamente solo presidenti maschi e bianchi. Con la sola eccezione di Obama, che peraltro ha lasciato ricordi contrastanti al termine dei suoi due mandati. Credo che si arriverà anche alla prima presidentessa, purché la candidatura sia forte e credibile. Non lo sono state Hillary Clinton e Kamala Harris. La prima ha pagato l’attacco al consolato Usa a Bengasi dell’11 settembre 2012: quattro vittime americane tra cui l’ambasciatore Christopher Stevens. La seconda ha perso soprattutto per colpa del partito. Harris ha fatto ciò che poteva, ma se cominci a luglio una campagna presidenziale è già tutto sbagliato. I democratici non hanno creduto in lei quando dovevano. Il partito l’ha accettata solo quando bisognava per forza sostituire Biden, 82enne incapace ormai di reggere il ruolo di presidente per un secondo mandato».
Infine, qual è l’America vera al di là di stereotipi e fantasie? «Gli States non sono quelli dei telefilm. Ci sono tante Americhe: quelle nelle coste e le metropoli, quelle deep all’interno. Insomma, 50 Stati diversi e perfino ogni contea può possedere un’identità diversa. Piuttosto, è meglio profilare il popolo americano che si dimostra sempre molto concreto, senza cedere ai fronzoli. È un popolo che conserva una propria ideologia semplice e condivisibile: avere un lavoro che permette di guadagnare per pagarsi una casa, creare una famiglia e vivere sulla soglia del benessere garantito. La gran parte della popolazione americana si riconosce in questi schemi».
Ernesto Milanesi