Non “periferizziamo” i nostri bambini. Suggestioni dal summit papale sui diritti dei più piccoli

Ci sono due prospettive dalle quali guardare a quanto è accaduto lunedì scorso nella sala Clementina del palazzo apostolico, in Vaticano. Per un’intera giornata, una quarantina di leader da altrettanti Paesi nel mondo, seduti attorno al tavolo ovale predisposto per l’occasione, si è confrontata sui bambini, sui loro diritti (spesso negati) e sul messaggio che ci arriva dalla loro semplice esistenza.

Luca Bortoli

direttore

La prima prospettiva è quella internazionale, che qui in Occidente ci appare lontana, impossibile. Quella dei quaranta milioni di bambini sfollati nel mondo a causa dei conflitti e circa cento milioni senza fissa dimora, come ha ricordato lo stesso papa Francesco aprendo il summit. Parliamo, ancora, dei 160 milioni di bambini vittime di lavoro forzato, di matrimoni obbligati o sottoposti ad abuso o sfruttamento di ogni tipo, senza tornare al fenomeno crescente dei minori non accompagnati. È di questi ragazzi che ha parlato la regina Rania di Giordania, focalizzandosi sulla situazione di Gaza in questo momento, dove il 96 per cento dei minori – prima del fragile cessate il fuoco in corso – sentiva molto vicina la propria morte e quasi la metà desiderava la propria morte.

«Proprio i giovani, che nella società sono segno di speranza, faticano a riconoscere la speranza in se stessi», ha detto il papa, che non a caso ha fatto riferimento alla testimonianza degli anziani, unico appiglio nelle nostre società con un passato fatto di buio, di fame e di guerra: ma ciò che a noi appare morto e sepolto per sempre è attualità a poche migliaia di chilometri da qui. La fuga dal fronte, la perdita della propria casa, crescere in posti lontani e sconosciuti hanno riguardato le nostre terre nel lontano 1916, quando tutta la parte Nord della nostra Diocesi è stata oggetto della Strafexpedition austroungarica, e noi chiamiamo questa tragedia con il termine desueto di “profugato”: ebbene, in molte parti del mondo, questa è la realtà di oggi. Assumendo tuttavia la prospettiva che ci è più prossima, è un altro passaggio del discorso del papa a colpire la nostra attenzione: «Esistono tuttavia le periferie difficili, nelle quali i piccoli sono spesso vittime di fragilità e problemi che non possiamo sottovalutare». «Inoltre – aggiunge il pontefice – secondo la cultura efficientista, l’infanzia stessa, come la vecchiaia, è una “periferia” dell’esistenza».

Allora le domande si moltiplicano: che cosa minaccia la vita dei piccoli, anche qui nel ricco Nord Italia? Che cosa significa, alle nostre latitudini, che «nulla vale più della vita di un bambino»? Si apre qui un discorso in cui il rischio di fare della mera retorica è altissimo. Eppure, alcuni cenni di risposta a questi interrogativi sono molto più concreti e quotidiani di quanti si pensi. Molti degli interventi che si sono susseguiti durante il summit papale “Amiamoli e proteggiamoli” hanno dato l’impressione che i leader, pur facendo riferimento ai bambini, tendessero in realtà a rimarcare l’importanza del loro ambito di impegno (educazione, scuola, sport) e l’efficacia della loro azione politica. Parlare di loro-bambini focalizzando in realtà noi-adulti è il primo modo per rendere i piccoli “periferia”. Se c’è un messaggio che la presenza di un bambino lancia, in ogni contesto, è che parte integrante della missione del mondo-adulto è “fare spazio”, lasciare che chi viene dopo di noi trovi un ambiente abitabile, vivibile, in termini di relazioni e di opportunità. Non si tratta di fare un passo indietro (o di lato) ma di preparare attivamente la strada, essere consapevoli che i nostri obiettivi e desideri devono misurarsi con la presenza e la necessità di altri, in particolare di chi ancora sta scoprendo tutto della vita. Non occorre essere genitori per maturare questa consapevolezza, anzi. Ogni comunità e ogni posto di lavoro solo luoghi privilegiati per valorizzare e non “periferizzare” il nostro prossimo. A volte si tratta di ascoltare, di mettere la persona prima dell’efficienza, di allungare i tempi per ottenere un obiettivo pur di raggiungerlo insieme.

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