IdeeL’intelligenza artificiale rischia di omologare il pensiero e di essere uno strumento di potere nelle mani di pochi, spingendo alla standardizzazione piuttosto che alla crescita autentica
L’uomo ha sempre cercato di estendere e preservare il proprio sapere, affidandolo prima alla memoria orale, poi alla scrittura e infine alle macchine e ai supporti digitali. L’intelligenza e il sapere non si limitano a riprodursi, ma cercano di potenziarsi e ottimizzarsi. Oggi, però, l’intelligenza artificiale sta cambiando le carte in tavola: per Tiziano Vecchiato, presidente della Fondazione Emanuela Zancan, l’IA tende più a promuovere l’omologazione del pensiero, invece di una crescita autentica.
Perché preoccuparsi dell’intelligenza artificiale? «Per l’intelligenza umana tutto può essere utilizzato bene o male. Per esempio, l’espressione “Crescete e moltiplicatevi” (Genesi 1:28) è stata intesa in tre modi: generativi, esistenziali, spirituali. L’interpretazione prevalente è stata generare e moltiplicare la vita. La seconda è affermarsi, accumulare, arricchirsi per dominare la terra. La terza ci ricorda che il Creatore ha affidato la creazione alle sue creature. Nel paradiso terrestre tutto questo non è bastato, perché conoscere il bene e il male è sembrato molto più attraente. Ma serviva intelligenza e nella storia umana è prevalsa la ricerca di riprodurre l’intelligenza, consegnando il nostro pensiero alla memoria orale, ai rotoli della legge, alle tavole di pietra… Nei secoli è poi stata affidata a macchine capaci di riprodurla e a biblioteche capaci di contenerla, fino a oggi con supporti digitali che utilizziamo quotidianamente. Abbiamo così costruito delle capacità sconfinate per ricordare e memorizzare, tranquillizzando l’intelligenza che non andrà perduta. Ma l’intelligenza è creativa, sa che la memoria è un prodotto a scadenza. Anche le menti più intelligenti possono degradare e morire. Per questo all’intelligenza non basta riprodursi costruendo copie dell’originale. Ha bisogno vitale di potenziarsi, velocizzarsi, meccanizzarsi, ottimizzando i suoi funzionamenti. È avvenuto nei secoli, prima di tutto con le macchine mentali (i sillogismi, i teoremi, gli algoritmi) per poi passare dall’intelligenza fatta di memoria alla costruzione del sapere che non può essere messo in discussione, con la verità dimostrata come ha fatto e fa il pensiero scientifico».
Com’è potuto avvenire il passaggio dalla verità rivelata a quella artificializzata? «Non è stato un passaggio difficile, utilizzando la logica intesa come motore razionale così che i suoi risultati diventassero sapere non discutibile. Ma per ora abbiamo la possibilità di metterlo in discussione, smascherando la scaltrezza della mente, quando fa sembrare giusto anche quello che non lo è. L’intelligenza artificiale è tecnicamente straordinaria nel memorizzare, ricordare, trasmettere sapere, calcolare, automatizzare, velocizzare la sua gestione. Per esempio, i motori di ricerca aiutano a risolvere molti problemi con molte app-licazioni. Sanno anche decodificare enormi quantità di dati in biologia, medicina e altri campi del sapere. Ma quest’abbondanza non basta per affrontare la sfida più affascinante: posizionare fuori di noi la capacità di pensare, costruire, risolvere. È come pretendere di diventare “creatori”, ma di un’intelligenza che non è nostra. L’IA, l’intelligenza artificiale, è una copia di noi, che rivendica questa possibilità, per ora con risultati modesti. Non è difficile capirlo, basta verificare le sue risposte a domande molto impegnative su materie che conosciamo molto bene. Le sue risposte sono un concentrato del miglior sapere medio emergente dal tutto memorizzato. In questo tutto non emergono le varianze geniali, a volte salvifiche, capaci di dirci “Ma io vi dico!”».
Con queste prospettive, fino a che punto fidarsi? «Se sappiamo che l’IA mette a disposizione il meglio del pensiero dominante, facciamone buon uso, senza cadere nella trappola che sta affascinando le multinazionali che la controllano. Configurano l’intelligenza artificiale, a proprio vantaggio, come un vitello d’oro a cui inchinarsi a servizio dei nuovi mercati della comunicazione, della politica, dell’economia. Hanno potenzialità enormi, con quantità mondiali di fruitori disposti a pagare per farsi guidare da un’intelligenza “fuori di loro”. È un’IA esternalizzata, duplicata, che può vivere più a lungo dell’originale che l’ha costruita. Non è dunque, come si potrebbe credere, creazione ma omologazione dove tutti possono diventare uguali, a disposizione di pochi disuguali, i monopolisti che la controllano. In passato i benedettini hanno conservato i frutti dell’intelligenza umana trascrivendoli con la regola non monopolistica, “ora et labora”, a servizio dello sviluppo della cultura. La moderna IA è addestrata a imitare le menti umane, ma proponendo i suoi modi di pensare e mangiare la mela del bene e del male. Non è quindi un riproporsi dell’invito originario “crescete e moltiplicatevi” ma piuttosto un invito geneticamente modificato, “crescete e omologatevi”, e sarete tutti ugualmente intelligenti».
Di intelligenza artificiale Tiziano Vecchiato ne ha parlato in qualità di relatore con il tema “L’uomo creatore di sé stesso… verso il transumanesimo” in occasione della 29a Giornata mondiale della vita consacrata dello scorso 1° febbraio, all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio a Sarmeola di Rubano. Un nuovo appuntamento è, invece, in programma sabato 29 marzo, dalle 9 alle 12 all’Istituto teologico Sant’Antonio Dottore (via San Massimo 19, a Padova) con Tiziano Vecchiato che parlerà di “Intelligenza artificiale: una sfida”.
Un’innovazione «improvvisa e spiazzante dalla Cina»: lo scorso 6 marzo, la startup Butterfly Effect ha presentato Manus AI. Nel video promozionale è in grado di selezionare il miglior candidato per un lavoro analizzando decine di curricula, redigere analisi di mercato, acquistare una casa e programmare videogiochi
