MosaicoInsegnanti e genitori condividono il grande compito di educare le nuove generazioni. Come coltivare una relazione strategica
Secondo alcuni autori, «non c’è una geografia di relazioni più complessa di quella esistente fra scuole e famiglie». Sia scuola che famiglia, infatti, condividono il compito, la funzione e la mission educativa, ma il contesto, le modalità, i rispettivi compiti, i tempi di esercizio sono diversi. Come agire allora in una logica di complementarità e positiva sinergia piuttosto che di antagonismo? Si può apprendere a collaborare o scuola e famiglia sono destinate a ignorarsi o a pestarsi i piedi? E, ancora prima, perché scegliere una logica collaborativa e impegnarsi reciprocamente, insegnanti e genitori, in un vero e proprio lavoro di coeducazione? Educare insieme e sostenersi reciprocamente tra insegnanti e genitori, nella complessità dei nostri giorni, è una via maestra per riuscire nell’educazione e “sopravvivere” ai primi incredibili, magnifici e altrettanto faticosi, anni di vita. Se i bambini, infatti, nei primi anni di vita, poggiano la loro mente su quella dei genitori e, attraverso questo appoggio, apprendono e crescono, così la mente delle figure genitoriali poggia sulla mente collettiva della famiglia allargata, della rete sociale informale e formale, ossia dei servizi educativi, delle scuole, della comunità. La funzione genitoriale è una funzione essenzialmente responsiva, in quanto volta a rispondere ai bisogni di sviluppo dei bambini. La crescita dei bambini avviene all’interno di questo movimento, continuo e dinamico, di domanda e risposta, come in una partita a tennis. In esso il bambino esprime un bisogno, l’adulto risponde, ricevendo tale risposta il bambino sperimenta cura, riconoscimento e amore, nel fare questa esperienza si formano le sue capacità, le tanto note skills (competenze) cognitive, sociali, emotive, ecc. Esse quindi, ce lo dicono molte ricerche nell’ambito delle neuroscienze, non sono innate, ma si formano tramite le esperienze quotidiane che il bambino intreccia con il suo ambiente familiare prima, scolastico e sociale poi. Tale ambiente ha dunque il potere di generare capacità e competenze, di sostenere quel fenomeno straordinario di co-creazione che è la crescita umana. E questa è davvero una notizia importante che ci consegna la ricerca scientifica degli ultimi anni: pressoché nulla dell’umano è predeterminato. Il lavoro educativo degli insegnanti a scuola contribuisce a tale co-creazione nella misura in cui riesce a intrecciarsi con il lavoro educativo dei genitori a casa: tanto più questi due contesti trovano un ritmo di camminata condiviso, tanto più aumenta il potenziale educativo dell’uno e dell’altro. Come fare allora a trovare il buon ritmo in questa camminare insieme? Non solo stando in cattedra e mostrando la via ai genitori, ma, appunto, camminando insieme, accompagnandosi (cum-panis, mangiando il pane insieme) reciprocamente, per esempio progettando pratiche di coeducazione fra scuola e famiglia. Tali pratiche riguardano il modo di progettare e gestire i colloqui individuali con i genitori, che possono divenire, piuttosto che adempimenti di veloce resoconto sul percorso scolastico, o appuntamenti per dare brutte notizie ai genitori e passar loro patate bollenti («facciamo i colloqui quando le cose vanno male, quando vanno bene non serve»), luoghi di vero ascolto, dialogo, valorizzazione dei saperi dei genitori e delle competenze dei bambini, di co-costruzione di obiettivi educativi per avanzare nella capacità di costruire insieme il progetto di ogni bambino. Anche il modo di progettare e gestire le riunioni con i genitori è importante: le riunioni possono diventare tempi di riflessione condivisa, magari intorno al tè delle cinque, sulla domanda che, incredibilmente, è oggi spesso quasi esiliata dalla scuola: cosa vuol dire per me insegnante e per me genitore educare questo bambino o questa bambina? Dove sto andando? Quali sono i miei obiettivi? E quali sono gli obiettivi e i valori che possiamo condividere in questo nostro camminare? I valori sono ciò che consegniamo ai bambini quando testimoniamo loro ciò per cui vale la pena faticare un po’ ogni giorno, ciò che costruisce, nel tempo la nostra autentica virtù, che per Aristotele, non era altro che la nostra felicità: vale la pena imparare a condividere le nostre cose con gli altri? Vale la pena perdere in un gioco senza arrabbiarsi? Vale la pena aiutare chi è in difficoltà? Vale la pena imparare a chiedere aiuto? Vale la pena esprimere la nostra paura, lasciarsi prendere per mano dal compagno e andare comunque incontro all’ostacolo? Ecc. Rappresentarsi i genitori non come nemici, ma come compagni di viaggio alle prese con un compito complesso qual è quello educativo, lasciando fuori dalla porta etichette e giudizi, costruire innovative pratiche collaborative che interroghino finalità e questioni di fondo dell’educazione è solo uno dei tanti esempi tramite cui le scuole possono riprendersi il loro ruolo primario di presìdi di democrazia e civiltà.
PAOLA MILANIProfessoressa ordinaria di Pedagogia sociale e Pedagogia delle famiglie, vicedirettrice del Dipartimento Fisppa dell’Università di Padova
