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Veneto: le mafie sono qui
Le mafie in Veneto non si sono infiltrate ma lo hanno conquistato parlando un linguaggio apparentemente simile fatto di propensione all’evasione fiscale, all’uso del lavoro sommerso e all’indipendentismo.
FattiLe mafie in Veneto non si sono infiltrate ma lo hanno conquistato parlando un linguaggio apparentemente simile fatto di propensione all’evasione fiscale, all’uso del lavoro sommerso e all’indipendentismo.
Le mafie al Nord non portano la coppola e non lasciano, quasi mai, scie di sangue. Piuttosto, preferiscono mimetizzarsi investendo in attività economiche. Lo spiega bene la ricerca Aziende criminali nel Centro Nord Italia: effetti economici e caratteristiche realizzata dal dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Padova. Antonio Parbonetti, Michele Fabrizi e Patrizia Malaspina hanno analizzato 120 operazioni di polizia condotte nelle regioni del Centro e Nord Italia contro la mafia tra il 2005 e il 2014, che hanno individuato 643 aziende criminali di cui 100 venete (19 in provincia di Padova). La ricerca ha permesso di identificare tre tipologie: quelle di “supporto”, che danno sostegno all’organizzazione criminale e ai suoi affiliati, sono più indebitate e hanno meno liquidità delle imprese pulite; le “cartiere” che hanno una correlazione tra ricavi e costi operativi superiore al 99 per cento e sono utilizzate per il riciclaggio e la realizzazione di attività illecite e le “star” che hanno il ruolo di stabilire relazioni con gli ambienti istituzionali.
«La presenza delle mafie in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige non appare così consolidata e strutturata come nelle regioni del Nordovest, ma diversi elementi fanno ritenere che siano in atto attività criminali più intense di quanto finora emerso, perché l’area è considerata molto attrattiva». Lo afferma la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali anche straniere nella relazione conclusiva presentata lo scorso 7 febbraio. È importante comprendere, infatti, che le mafie in Veneto non si sono infiltrate, ma lo hanno conquistato parlando un linguaggio apparentemente simile alla vulgata comune, fatto di propensione all’evasione fiscale, all’uso del lavoro sommerso e all’indipendentismo. Diversi imprenditori e professionisti veneti ne sono stati attratti e hanno aperto, più o meno ingenuamente, le porte delle loro attività, pensando di potersi servire della mafia e delle sue ingenti somme di denaro per superare il momento di crisi o per aumentare il proprio giro d’affari, finendo invece per rimanerne vittime fino a perdere il controllo delle proprie aziende.
«Le mafie – spiega Gianni Belloni, giornalista e autore con Antonio Vesco del libro Come pesci nell’acqua. Mafie, impresa e politica in Veneto – possono essere un’utile cartina di tornasole per comprendere le dinamiche presenti nella società veneta, soprattutto per quanto riguarda le imprese e la politica». Belloni e Vesco studiano in modo approfondito le culture imprenditoriali e le condizioni venete di fare impresa che favoriscono il dialogo con il mondo criminale, affrontando nei primi due capitoli questioni di ordine generale che consentono di inquadrare le caratteristiche del contesto e nei successivi quattro capitoli altrettanti studi di casi che approfondiscono specifici nodi analitici.
La conclusione provocatoria sembra essere che, come pesci nell’acqua, la criminalità organizzata si trova a suo agio nella società veneta.
Ad avvalorare la tesi che la nostra regione sia soprattutto il luogo del riciclaggio dei proventi di attività illecite che si svolgono al Sud e che tutto ciò sia possibile grazie all’appoggio di professionisti veneti, si aggiunge l’operazione “Fiore reciso” che lo scorso gennaio ha portato a sedici ordinanze di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari emesse dal Gip di Padova per associazione a delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, al riciclaggio, all’autoriciclaggio, allo spaccio e al traffico di sostanze stupefacenti. Fra gli arrestati anche un direttore di filiale e un funzionario di banca che avevano elargito favori al principale indagato, un piccolo imprenditore calabrese. L’aspetto interessante della vicenda è che, in contemporanea, a Catanzaro il principale indagato dell’operazione padovana era accusato di associazione per delinquere di tipo ‘ndranghetistico.
«A Padova – ha spiegato il prefetto Renato Franceschelli in occasione del convegno “Mafie e corrotti… a chi?” organizzato dall’associazione Libera lo scorso 16 marzo – dobbiamo essere vigili perché si è attivato un virtuoso percorso di investimenti su cui va acceso un faro: dalla fibra ottica, con i suoi mille cantieri frammentati sul territorio, all’ospedale che diventerà una grande stazione appaltante». Restare vigili, dunque. Perché la mafia è un fenomeno che si nutre di omertà e silenzi: per combatterla non ci si può affidare solo al lavoro delle forze dell’ordine ma è necessario che ogni cittadino s’impegni a vivere secondo principi di legalità e smetta di sottovalutare il fenomeno, fingendo che non lo riguardi.
In Veneto in questi anni sono stati sequestrati cica 330 cespiti catastali tra questi villa Valente Crocco a Salvaterra di Badia Polesine (Ro).
Il 7 marzo 1996 è entrata in vigore la legge 109/96 per il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni mafiose. Un traguardo importante raggiunto grazie a un milione di firme raccolte in seguito a una petizione popolare lanciata da Libera, la rete di associazioni impegnate da oltre vent’anni contro le mafie.La legge è stata considerata uno spartiacque nella lotta al crimine organizzato, per la sua capacità di mettere insieme l’aspetto repressivo con quello rigenerativo e sociale. Il messaggio dello Stato è chiaro: non si colpisce solo il soggetto socialmente pericoloso, ma anche il suo potere economico.
Dopo la confisca i beni sono affidati ai comuni
In molti casi però la destinazione e la consegna di un bene immobile all’ente locale non implica la sua valorizzazione, e anzi spesso rimangono a lungo inutilizzati per varie ragioni. Purtroppo nell’assegnazione dei beni immobili ai soggetti del privato sociale, le pubbliche amministrazioni non sempre utilizzano procedure di evidenza pubblica, nonostante quanto stabilito dall’articolo 48 del codice delle leggi antimafia.«Nei comuni – spiega Simmaco Perillo, presidente della cooperativa sociale Al di là dei sogni che gestisce uno dei primi beni confiscati a Maiano di Sessa Aurunca in provincia di Caserta – è l’apparato burocratico a gestire i finanziamenti pubblici e a redigere le gare d’appalto. Quindi non basta sciogliere un comune per infiltrazioni mafiose. Il grosso nodo sono i funzionari che, se collusi, continueranno ad agevolare amici criminali».
In Veneto in questi anni sono stati sequestrati circa 330 cespiti catastali
Nell’elenco figurano anche la villa di Felice Maniero a Campolongo Maggiore e villa Valente Crocco a Salvaterra di Badia Polesine (Rovigo), una grande casa con giardino acquisita con denaro riciclato. La nuova stagione della villa è iniziata il 29 dicembre 1995 quando il Tribunale di Verona ha disposto il sequestro del bene. Dopo un iter burocratico lungo 20 anni, a maggio del 2016 villa Valente Crocco è stata riaperta al pubblico e oggi è gestita dall’associazione temporanea di scopo Salvaterra, costituita dal Centro documentazione polesano onlus, dalla cooperativa sociale onlus Porto Alegre, dal Wwf della provinciale di Rovigo, dall’associazione regionale Apicoltori, dalla cooperativa sociale onlus Altrinoi e dalle associazioni Di tutti i colori e Auser di Rovigo.Un laboratorio di legalità fortemente voluto da Libera che, come sempre, non gestisce direttamente il bene confiscato, ma ha promosso interventi formativi e di progettazione partecipata per renderlo una risorsa per la collettività.
Sono 46 le località coinvolte in 13 diverse regioni d’Italia dal progetto “E!State liberi!” realizzato da Libera per dare l’opportunità ai giovani di trascorrere un’esperienza estiva di impegno e formazione nei terreni e nei beni confiscati alle mafie gestiti dalle cooperative sociali e dalle associazioni.
Dalla Piana di Gioia Tauro sulle proprietà confiscate ai Piromalli, alle terre un tempo appartenenti a Brusca e Riina nel Corleonese, passando per la Puglia sulle tenute che erano della famiglia Screti e delle altre famiglie mafiose della Sacra Corona Unita, per i beni del clan casalesi nel Casertano fino al tesoro nascosto della ‘ndrangheta in Lombardia e Piemonte. Sono previsti campi per singoli, per gruppi, per minorenni, per famiglie e i campi tematici e aziendali. Iscrizioni aperte su www.libera.it