FattiDal 1° luglio è stato tolto il blocco della misura nata per arginare le difficoltà legate alla pandemia. Rimane in vigore nei settori più sofferenti come quello del calzaturificio. Ma quali sono i risvolti?
Il blocco dei licenziamenti, misura istituita per affrontare i mesi più bui della pandemia, è venuto meno dal 1° luglio per la maggior parte dei settori e lo stesso avverrà dal 31 ottobre per il settore tessile e affini, a cominciare dalla moda e dalla calzatura. Rimane in vigore il blocco dei licenziamenti per la filiera più colpita dalla lunga coda della pandemia mentre, per le aziende cui è venuto meno formalmente il divieto e per le quali sono esaurite le possibilità di ricorso alla cassa integrazione, sono disponibili altre 17 settimane di cassa straordinaria con conseguente impossibilità di licenziare.
«Senza questo tipo di misura avremmo avuto una situazione sociale difficile da gestire — spiega Gianfranco Refosco, segretario generale della Cisl Veneto — Tutta la strumentazione d’emergenza fatta non solo dal blocco dei licenziamenti ma anche dalle risorse per gli ammortizzatori sociali e della normativa sul Fondo nuove competenze hanno permesso di sostenere le imprese ma anche di evitare ai lavoratori e alle loro famiglie il rischio di esclusione sociale. Una normativa che noi come sindacato abbiamo voluto con forza e che si è rivelata necessaria».
Strumentazione necessaria che però, è utile ricordarlo, ha avuto pochi altri esempi simili in Europa: la Germania ha reso più generosa la cassa integrazione senza vietare i licenziamenti così come in Francia si sono inaspriti i controlli sui licenziamenti collettivi senza però ricorrere a un contestuale blocco. A rimanere scoperti dal blocco sono poi i lavoratori a tempo determinato, categoria particolarmente colpita dalla disoccupazione in tutta l’Unione: «In molti paesi Ue si è assistito a un crollo delle assunzioni a tempo indeterminato per i mancati rinnovi dei contratti a termine — scrive Claudio Tucci dalle colonne del Sole 24Ore — Quindi, anche all’estero, come in Italia per diversi mesi, tante persone hanno perso il lavoro, ma non attraverso i licenziamenti».
Sempre Tucci, analizzando i dati forniti dalla Commissione europea, non esita a sollevare dei dubbi sull’effettiva utilità del blocco dei licenziamenti: «Il calo dell’occupazione rispetto al Pil in Italia è stato nella media europea e peggiore di Francia, Germania. È stato invece migliore di Portogallo e Spagna». L’Italia ha registrato un’elasticità dell’occupazione inferiore alla media europea ma comunque superiore a Francia e Germania che pure hanno contenuto i licenziamenti senza attuare blocchi.
Anche per questo motivo la Commissione non ha lesinato critiche alla normativa fortemente voluta dal Governo Conte II: «L’Italia è l’unico Stato membro che ha introdotto un divieto universale di licenziamenti all’inizio della crisi del Covid-19 — scrivono i tecnici europei — Un confronto con l’evoluzione del mercato del lavoro in altri Stati membri che non hanno introdotto tale misura suggerisce che il blocco dei licenziamenti non è stato particolarmente efficace e si è rivelato superfluo in considerazione dell’ampio ricorso a sistemi di mantenimento del posto di lavoro».
Nonostante le critiche, però, il governo presieduto da Mario Draghi ha comunque deciso la proroga della misura per il settore moda, mettendo d’accordo tanto i sindacati quanto i datori di lavoro. «Il settore è scarico a livello nazionale e regionale con la calzatura più colpita del comparto moda — riflette Katia Pizzocaro, consigliere nazionale Confartigianato e amministratrice del calzaturificio di famiglia — Per fortuna il prolungamento del blocco dei licenziamenti e soprattutto il supporto che abbiamo dagli ammortizzatori sociali ci sostiene: diversamente sarebbe impensabile avere tanti dipendenti anche se, le statistiche lo confermano, gli artigiani hanno dei contratti molto lunghi con i collaboratori e faticano a reperire personale specializzato. Prima di ricorrere ai licenziamenti e perdere un collaboratore nutrito di competenze, tentano ogni soluzione».
«Si è concordato — le fa eco Refosco — che l’impresa che ha esuberi di personale utilizzi, concordando con il sindacato, tutti gli strumenti a sua disposizione per evitare i licenziamenti. Questo è importante perché ci dà un indirizzo di risoluzione delle crisi aziendali. Consideriamo poi positivamente il finanziamento al Fondo per le competenze: quei 50 milioni sono un primo passo verso le politiche attive nei confronti di chi il posto di lavoro l’ha perso e deve essere accompagnato verso un nuovo impiego».
Le politiche attive del lavoro sono storicamente il punto debole del sistema italiano anche se, come riconosciuto da più parti, il Veneto ha saputo mettere in campo misure a sostegno dell’occupazione come l’Assegno per il lavoro che lo mettono ai vertici nazionali. Il problema è ora rimettere in moto il tessuto economico dove il coronavirus ha rappresentato solo l’ultimo inciampo di un percorso già irto di difficoltà.
«Tanti imprenditori sono ancora fermi, altri si sono rinnovati in corsa inseguendo il digitale — spiega Pizzocaro — Il Covid ha accelerato un processo di transizione già in atto, rendendo alla portata di tutti cose fino a poco prima quasi inimmaginabili ma ora bisogna vedere cosa succederà: c’è chi decide di andare avanti, magari approfittando di tutti i contributi che si stanno mettendo in campo, e c’è chi invece non se la sente e si ferma. Il tema dell’innovazione è centrale: che sia tecnologica, di gusto o di marketing c’è tanto lavoro da fare per rimanere competitivi».
La calzatura, che ha nel distretto della Riviera del Brenta la sua punta di diamante, ha sofferto particolarmente delle misure di lockdown: la scarpa elegante, fuori dall’ufficio e senza occasioni mondane e di socialità, perde il suo naturale contesto e mercato di riferimento spingendo le aziende a reinventarsi. «Per cercare di recuperare quote abbiamo riiniziato a ragionare da calzaturificio e siamo riusciti a fare discretamente bene — conclude Katia Pizzocaro che, con la sua Paoul è specializzata in calzature da ballo e cerimonia — rispetto al meno 90 per cento del mio settore, noi abbiamo concluso a meno 60, abbiamo recuperato 30 punti con idee nuove ma la moda era di per sé a un negativo per il 50 per cento». Ora il nodo vero riguarda la ripartenza: con un prodotto fortemente legato alla stagionalità e l’incombere della variante Delta, anche i più ottimisti che vedevano in settembre l’inizio della ripresa si sono fatti più cauti. Non resta che sperare nella campagna vaccinale.
A dicembre 2020, in Italia, si sono polverizzati 101 mila posti, essenzialmente donne con addirittura 99 mila unità in meno, e quasi interamente giovani e under 50. Pesante la forbice negativa nel mondo dei giovani: in un anno, dal dicembre 2020 su dicembre 2019, l’occupazione è scesa di 444 mila unità, di cui 312 mila sono donne.
Anche nel primo trimestre del 2021 il mercato del lavoro in Italia manifesta segni di sofferenza: come certifica l’Istat la cassa integrazione raggiunge le 108,4 ore ogni 1000 ore lavorate. Con il proseguo delle misure di restrizione dell’attività economica e sociale si registra una lieve crescita delle posizioni di lavoratore dipendente — a discapito degli autonomi — dovuta a un aumento in termini congiunturali della componente a tempo pieno a fronte di un calo di quelle a tempo parziale. Aumenta poi il costo del lavoro dello 0,9 per cento in termini congiunturali, per effetto di un aumento sia delle retribuzioni con incremento dello 0,5 per cento che degli oneri sociali a del 2 per cento. L’aumento del Pil di 0.1 per cento su base annua non è sufficiente a stimolare l’occupazione che, nello stesso periodo, cede di 0,2 punti rispetto al trimestre precedente e di -0,1 al primo trimestre 2020.
È quanto emerge da uno studio condotto da Fondazione per la Sussidiarietà e Università di Milano Bicocca: «Gli annunci online sono diventati il canale principale per le offerte di lavoro e confermano la ripresa del Paese — spiega Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà — Ci attendiamo un deciso impulso dalla graduale riapertura delle attività e dall’avvio del piano nazionale di ripresa e resilienza».
I numeri parlano chiaro: nel primo trimestre del 2021 sono stati 156.064 gli annunci pubblicati sulle piattaforme online, registrando un netto aumento sul 2020 che aveva registrato un calo del 5 per cento rispetto al 2019 con poco più di 409 mila annunci su base annua. Oltre il 30 per cento degli annunci riguarda il settore manifatturiero, meno del 12 per cento quelli del commercio.
