FattiLa Regione Veneto, in rete con enti del Terzo settore, ha in programma la realizzazione di ambulatori distrettuali di prossimità con l’impiego di personale medico e infermieristico volontario
Una rete di ambulatori distrettuali di prossimità per combattere la povertà sanitaria: è questa l’iniziativa sperimentale promossa dall’assessore alla sanità, Manuela Lanzarin, e recepita da una delibera della Giunta regionale del Veneto di inizio agosto. «In una società come la nostra – spiega l’assessore Lanzarin – ai più può sembrare impossibile che ci siano persone con un reddito non sufficiente a provvedere alle esigenze legate alla salute. Invece è così». Per rispondere a queste nuove forme di povertà, figlie anche della drammatica crisi dovuta alla pandemia, la Regione ha pensato di far rete con il Terzo settore specializzato per stringere le maglie di un sistema sanitario messo a dura prova nell’ultimo anno e mezzo.
Emergency ha fatto scuola
Il modello che ha in mente il legislatore regionale è in tutto e per tutto simile a quello adottato da Emergency nel suo ambulatorio di Marghera dove, in 11 anni di attività, ha erogato oltre 75 mila prestazioni. «L’ambulatorio – spiegano dall’associazione – lavora in collaborazione con le autorità sanitarie locali. A eccezione di alcune figure sanitarie e di coordinamento che garantiscono l’organizzazione del servizio, il personale medico, sanitario e amministrativo opera a titolo volontario e gratuito».
Un servizio su larga scala come quello che immagina la Regione, basato tanto su presidi territoriali quanto su ambulatori mobili come quelli che hanno caratterizzato la campagna vaccinale anti Covid-19, non può essere completamente volontario e autofinanziato. Anche per questo, pur senza indicare un plafond, è previsto dalla delibera che «la Regione, previa apposita valutazione istruttoria, potrà valutare di destinare anche appositi contributi per rimborsare una quota parte delle spese amministrative e di gestione sostenute dagli enti del Terzo settore in convenzione per la realizzazione dei progetti stessi».
Fornire risposte chiare e comprensibili
Le Ulss per erogare il servizio dovranno attivare collaborazioni con enti del Terzo settore regolarmente iscritti ai registri nazionali e regionali. «Tra le attività che dovranno essere previste nell’ambito delle convenzioni – si legge nella delibera – andranno ricomprese anche le azioni volte a superare le barriere linguistico-culturali che consentiranno di prestare le prime cure necessarie e dare corrette informazioni alle persone sulle varie tipologie di offerta di servizi presenti nel territorio». Un servizio, quello di mediazione, che si rende indispensabile per rapportarsi a una parte dell’utenza a cui gli ambulatori sono rivolti: migranti, stranieri regolari e non, cittadini comunitari e cittadini senza dimora o privi di residenza. La palla passa ora alle Ulss che avranno tempo fino al 31 dicembre per presentare i progetti e le convenzioni che saranno poi attivate nel corso del 2022, indispensabili per concretizzare l’iniziativa innovativa promossa dalla Giunta veneta.
«L’utilizzo di un mezzo mobile – chiarisce l’assessore Lanzarin – consente di intercettare una potenziale domanda che difficilmente si avvarrebbe con un ambulatorio fisso. In particolare si prevedono cure ambulatoriali essenziali, ancorché continuative per malattie e infortunio in forma gratuita». Un servizio sanitario in tutto e per tutto simile a quello tradizionalmente deputato ai medici di base a cui abbinare una forma di orientamento nei confronti delle prestazioni erogate dalle Ulss.
Nel 2020, 434 mila persone in Italia non hanno potuto acquistare medicinali e sono quasi 8 milioni le persone che hanno dovuto limitare o sospendere almeno una volta spese per visite mediche e accertamenti. Se una persona non povera ha una capacità di spesa media per le cure di 65 euro mensili, un indigente non arriva a 11 euro e meno di 7 euro per l’acquisto di farmaci. Di questi, solo 3,77 euro sono destinati ai farmaci non da banco.
Erano 400 mila le prestazioni sanitarie in arretrato nel Veneto al principio dell’estate, accumulate fra marzo 2020 e aprile 2021. Per smaltire le 6 mila prestazioni in carico alla sola Ulss Dolomiti, servono 15 mila ore di lavoro: poche rispetto alle 50 mila dell’Ulss Serenissima e ai 1.800 interventi chirurgici che, nel maggio scorso, pesavano sul solo ospedale di Schiavonia.
