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Mamma e lavoro: in Italia è difficile. I dati del 2020 sono scoraggianti
Nel 2020 sono state oltre 42 mila le dimissioni di neogenitori con figli da zero a tre anni. Di questi, il 77 per cento sono donne
Nel 2020 sono state oltre 42 mila le dimissioni di neogenitori con figli da zero a tre anni. Di questi, il 77 per cento sono donne
Neanche la pandemia è riuscita a invertire una tendenza strutturale nel mercato del lavoro italiano ovvero quella delle neomamme a rinunciare al proprio impiego per l’impossibilità di conciliarne i tempi e i modi con le necessità della famiglia. Se nel 2020 le cessazioni si sono ridotte in termini assoluti con un calo del 17,7 per cento rispetto al 2019 (parliamo di 9 milioni di rapporti lavorativi cessati) questo non ha influito in termini reali sulla tendenza negativa delle neomamme che rappresentano il 77 per cento del totale dei genitori che rinunciano al lavoro, stimati a quota 42 mila nel 2020.
Le ragioni che spingono i genitori a interrompere un rapporto di lavoro sono duplici e spesso diverse in base al genere: se gli uomini soprattutto passano da un lavoro all’altro, le donne rinunciano direttamente all’impiego per dedicarsi a tempo pieno alla famiglia. Questo aspetto è reso evidente dal tasso di occupazione: in presenza di un figlio, il dato migliora per gli uomini a discapito delle donne che passano da un già poco roseo 60 per cento al 50, ricadendo nella cosiddetta inattività.
A risultare determinante in questa dinamica è il rapporto costo-opportunità di fronte al quale si trovano le famiglie con le donne che spesso dichiarano di avere uno stipendio inferiore a quello del partner: «In Italia, nelle coppie a doppio reddito il contributo delle donne mediamente non supera il 40 per cento del reddito familiare – si legge nell’indagine condotta dall’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – A seguito della maternità una donna su sei esce dal mercato del lavoro per motivi prevalentemente ricondotti alla necessità di “conciliazione con le esigenze familiari”».
Il ritorno al lavoro dopo la quarantena del 2020 ha ulteriormente rafforzato questa tendenza con le donne che hanno spesso rimandato la data di rientro per dedicarsi alla cura dei figli alle prese con la didattica a distanza.
Nel rapporto dell’Ispettorato nazionale del lavoro emerge che su 42.377 convalide arrivate da neogenitori la tipologia di recesso più frequente è costituita dalle dimissioni volontarie (oltre il 94 per cento) mentre le dimissioni per giusta causa e le risoluzioni consensuali sono pari rispettivamente a circa il 4 e al 2 per cneto del totale. Il 77,4 per cento si riferisce a donne. L’età del figlio che più incide in questo fenomeno è quella fino a un anno, quindi prevale l’esigenza di primo accudimento. La motivazione più frequente continua a essere la difficoltà di conciliazione dell’occupazione con le esigenze di cura della prole sia per ragioni legate alla disponibilità di servizi di cura (38 per cento) che per ragioni di carattere organizzativo del proprio lavoro (20 per cento del totale delle motivazioni indicate).
In Veneto, le denunce di infortunio sul posto di lavoro legate al contagio, anche a fine agosto 2021, continuano a essere tra le più preoccupanti in Italia: da gennaio 2020, infatti, sono 19.036. A riferirlo è un rapporto dell’Osservatorio Vega Engineering di Mestre. E a pesare maggiormente, un ulteriore dato: le donne contagiate durante la pandemia sono oltre 14 mila, circa il 74 per cento del totale.
I numeri portano il Veneto sul podio nazionale per numero di denunce legate al Covid-19, dopo Lombardia e Piemonte, anche se risulta essere tra le regioni con l’incidenza di mortalità meno elevata dell’intera penisola. Dall’inizio della pandemia, i decessi totali in Veneto legati al Covid-19 sono 33, un terzo nella provincia di Venezia.