FattiSalari bassi? Prospettive personali riviste dopo la pandemia? Scansafatiche? Motivazioni che strattonano il lavoro stagionale tra offerta e domanda, ma a pesare è anche una scarsa organizzazione cronica di chi ricerca manodopera solamente al ridosso dell’estate
Con la stagione estiva ormai ufficialmente iniziata, non sembrano attenuarsi le polemiche legate alla carenza di lavoratori stagionali tanto sulle spiagge del litorale quanto nelle città d’arte del Veneto. Archiviati in fretta due anni di pandemia in cui il settore turistico ha subito una serie di shock tali da azzerarne sostanzialmente il giro d’affari, ora la sfida principale sembra essere diventata far incrociare l’offerta di lavoro con una domanda che molti vedono influenzata, fra le altre cose, dal reddito di cittadinanza che renderebbe meno appetibili le posizioni disponibili nell’accoglienza e nella ristorazione. Secondo Unionmare, la sigla che riunisce la quasi totalità delle aziende del litorale veneto, all’appello mancherebbero il 30 per cento dei lavoratori proprio al principio di un’estate che si annuncia da tutto esaurito e in un settore capace di movimentare in Veneto e nel solo 2019 oltre 45 mila lavoratori.
«I cambiamenti non sono in atto, sono già avvenuti – riflette Giorgio Sbrissa, presidente di Forma Veneto e di Enaip – In Veneto ci sono 22 mila persone che si sono licenziate senza avere un altro posto di lavoro dove andare, una cosa inconcepibile per il nostro modello culturale».
La questione della Great resignation legata alla pandemia ha riempito per mesi le colonne dei giornali: il Covid-19 ha rimesso in discussione equilibri consolidati, soprattutto nel mondo del lavoro. La sospensione di molte attività e la conversione della quasi totalità delle professioni intellettuali e impiegatizie al lavoro da remoto hanno portato i lavoratori a rivalutare vite e carriere: sono soprattutto di giovani tra i 26 e i 35 anni impegnati nel terziario e che nei primi mesi dell’anno hanno portato a un aumento delle dimissioni del 50 per cento. Se gli adulti rinunciano al loro posto di lavoro, i giovani sembrano sempre meno propensi ad accettare impieghi stagionali in un Veneto che nel solito 2019 ne ha visti oltre 35 mila “arruolati” in lavori stagionali e di questi 16 mila nei servizi turistici.
«I ragazzi, se hanno la possibilità, cercano un posto che permetta loro di realizzarsi – continua Sbrissa – È vero che c’è un problema di adeguata retribuzione ma rappresenta forse un 30 per cento delle criticità perché in campo ci sono anche altri aspetti legati alla fiducia e alla crescita professionale. Le imprese sono state abituate per lungo tempo che, nel momento del bisogno, si rivolgevano al mercato del lavoro e trovavano qualcuno. Non è più così. Se vuoi trovare un ragazzo lo devi fare all’interno di un percorso duale con la scuola: si parte dal secondo anno con le 200 o 300 ore di stage, il ragazzo si ambienta e tu azienda hai modo di affiancarlo a un tuo tutor aziendale per formarlo, creando relazioni». Si tratterebbe, insomma, anche di una carenza di organizzazione divenuta cronica negli anni: se in passato il surplus di manodopera anche straniera consentiva alle imprese di iniziare la fase di reclutamento del personale con l’approssimarsi della stagione turistica, ora non è più scontato a maggior ragione per quelle posizioni tradizionalmente occupate dai più giovani che, complice l’invecchiamento della popolazione, sono sempre di meno.
«Non è vero che i ragazzi non ci sono – rincara la dose il presidente di Forma Veneto – Ci sono ma vanno a lavorare prima e quando si inizia la stagionalità sono già impegnati, probabilmente da un’altra parte, i ragazzi dell’istruzione professionale sono tutti occupati, se già prima il livello era dell’80 per cento, figurarsi oggi, e non sono occupati dalla fine di maggio, quando uno si sveglia all’ultimo momento, ma dal secondo anno di scuola quando un imprenditore ha iniziato a formarli». Ma c’è di più: oltre al fenomeno dei Neet, i ragazzi che non cercano alcun impiego, si registra come la pandemia abbia colpito duro proprio quei giovani che contavano su lavori precari e legati al turismo e alla ristorazione per tenere insieme il pranzo con la cena. Anche le agevolazioni fiscali per le assunzioni avrebbero un impatto relativo sul mercato del lavoro in un Paese come l’Italia dove già oggi la metà dei lavoratori sotto i trent’anni non paga l’Irpef e dove le imposte rappresentano meno del 15 percento del costo del lavoro nella fascia. Questo rende più evidente come sul tavolo della trattativa debbano trovare posto benefit diversi dalla sola retribuzione e che riguardino ambiti come il welfare aziendale, la conciliazione di lavoro con le necessità personali e vedere la propria figura formata e valorizzata. «Un’autofficina si lamentava perché i ragazzi andavano via. La spiegazione dell’imprenditore è che andassero dal vicino perché li pagava di più. Sentita “l’altra campana” è venuta fuori una storia diversa: li pagava meno ma aveva preso un pulmino a noleggio e aveva portato tutti i ragazzi e i dipendenti più anziani a vedere le prove della Formula 1. Con un investimento di forse 500 euro, panini inclusi, aveva creato una squadra».
Per sopperire alla domanda di lavoratori che c’è in Veneto, dove solo sul fronte degli stagionali del turismo si stima che ci sarebbe bisogno di circa quarantamila addetti, servirebbe un decreto solo per la nostra regione. Una situazione più o meno avvertita in tutta Italia, così il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese promette un nuovo decreto flussi che possa garantire numeri più alti di stranieri regolari e pratiche più veloci. L’ultimo decreto flussi, pubblicato a fine dicembre, è ancora in itinere e, per dire, in Veneto permetteva 1.303 assunzioni in edilizia, turismo e nell’autotrasporto. A fine maggio, inoltre, è stato sottoscritto un protocollo con il ministro del Lavoro Andrea Orlando e Ance nazionale per inserire nel circuito dell’edilizia quanti sono titolari di protezione internazionale o la cui pratica è in via di esame.
«Il clamore delle ultime settimane sul lavoro stagionale ha portato molti lavoratori a denunciare le condizioni in cui versano – spiega Chiara Buratti di Adl Cobas – Alcuni hanno deciso di raccontare le loro storie, altri di rifiutare le condizioni loro proposte». Buratti riporta il quadro di un settore in cui il mercato del lavoro sembra ancorato a modelli superati: «Il turismo a Venezia è ripartito alla grande, ma ciò che non è ripartita in modo migliore rispetto al passato è la modalità con cui si è cercata e trovata la manodopera». Nel 2019 in Veneto, l’ultimo prima della pandemia, le assunzioni stagionali erano oltre oltre 140 mila, rispetto a una media nel decennio precedente di circa 100 mila. Oltre 55 mila le assunzioni nei servizi turistici. All’appello mancano, inoltre, almeno 3.500 lavoratori stranieri per tenere in piedi il settore agricolo e turistico di Veneto e Friuli. Dei 36 mila lavoratori coinvolti, 26 mila sono uomini e oltre la metà di questi sono stranieri e in prevalenza rumeni, impegnati con contratti di lavoro precari, dall’elevato turnover.
