FattiDon Oscar Kasongo Ntabala, sacerdote guanelliano e amministratore della parrocchia di S. Stefano d’Ungheria dal 2022, quartiere Brusegana di Padova, racconta il dramma del suo Paese tra violenze, ingerenze straniere e una popolazione abbandonata a sé stessa
È preoccupato don Oscar Kasongo Ntabala, sacerdote guanelliano e amministratore della parrocchia di S. Stefano d’Ungheria dal 2022, quartiere Brusegana, primo “parroco” africano di Padova: da giorni infatti dalla sua terra arrivano notizie degli orrori della guerra. La situazione nella Repubblica Democratica del Congo è drammatica. La città di Goma, nell’est di questo enorme Paese grande quasi otto volte l’Italia e popolato da oltre 110 milioni di persone, è in preda alla violenza, con la popolazione costretta a vivere in condizioni disumane, senza acqua né elettricità, chiusa in casa per paura degli scontri. Il conflitto tra l’esercito congolese e i ribelli del gruppo M23 sta causando una crisi umanitaria senza precedenti, aggravata dall’inerzia della comunità internazionale. Migliaia di persone sono state costrette alla fuga, mentre chi è rimasto vive nel terrore e nella precarietà assoluta.
«Anche nella capitale Kinshasa, dove vive la mia famiglia, la situazione è tesa – spiega alla Difesa don Oscar – C’è preoccupazione: da due settimane per esempio le scuole sono chiuse e non si sa ancora quando riapriranno. Tutti sono in allerta». Restano invece drammatiche le notizie da Goma, nonostante il “cessate il fuoco” annunciato dai ribelli: «I gruppi armati appoggiati dai ruandesi hanno ormai preso il controllo di quasi tutta la città – continua il padre guanelliano – Dietro a questa situazione però ci sono anche le grandi potenze e le multinazionali: il Kivu (la regione presa d’assalto dai insorti, ndr) è strategico e il Ruanda viene a sua volta usato come strumento per favorire la balcanizzazione del Congo, che favorisce lo sfruttamento del Paese che va avanti da decenni. Papa Francesco durante la sua ultima visita in Africa lo aveva denunciato chiaramente: purtroppo però la situazione è rimasta invariata, soprattutto nelle regioni ricche di minerali».
«Giù le mani dall’Africa! – aveva tuonato il papa a Kinshasa lo scorso 31 gennaio 2023 – Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare». Il tragico intreccio tra conflitti etnici e interessi economici non si è però arrestato e anzi continua a mietere vittime nel silenzio dell’opinione pubblica internazionale. «Nessuno interviene. Anche Trump ha detto che la situazione è drammatica ma non vuole esporsi, e senza un impegno concreto da parte di Europa e Stati Uniti il Ruanda non si ritirerà. Troppi sono interessate a spartirsi risorse come le terre rare e il coltan, essenziali per cellulari e batterie, ma anche per le armi e l’intelligenza artificiale».
Una partita in cui si è inserito Paul Kagame, presidente del Ruanda da 25 anni e abilissimo nel barcamenarsi tra Usa, Ue, Russia e Cina.
«Negli ultimi anni il Congo ha cercato di mantenere il controllo sulle proprie risorse e di coinvolgere i congolesi nel processo di industrializzazione: questo ha dato fastidio alle grandi potenze che ora appoggiano il Ruanda. Poi è vero che in Congo vivono persone che parlano le lingue del Ruanda: i confini africani furono tracciati arbitrariamente dagli occidentali. Il vero problema è però il controllo delle miniere».
Com’è la situazione interna nella Repubblica Democratica del Congo?
«Il popolo si aspettava molto dall’attuale presidente Félix Tshisekedi, perché veniva dall’opposizione e prometteva di combattere per la gente. Una volta al potere però ha fatto le stesse cose – se non peggiori – dei suoi predecessori, pensando solo alla sua fazione e alla sua famiglia. Dopo il suo primo mandato la vita della gente è rimasta la stessa, anzi è peggiorata».
Qual è la posizione della Chiesa cattolica?
«Dalla parte del popolo, ricordando ai politici di pensare al bene comune. Per questo il governo cerca di mettere il popolo contro la Chiesa, favorendo ad esempio le chiese pentecostali, più vicine al potere: però non ci riescono, anche perché è l’unica istituzione che fornisce servizi essenziali in molte aree del Paese come scuole, ospedali e assistenza sociale. La Chiesa non si limita a pregare, chiede un impegno concreto per la pace.
Cosa si può fare concretamente?
«A livello globale, bisogna innanzitutto che l’opinione pubblica capisca che il Congo continua a essere sfruttato. Non si tratta solo della guerra in corso, ma di un sistema in cui il nostro Paese è saccheggiato da più di trent’anni. Una tragedia di cui si parla pochissimo, eppure sono morte milioni di persone e ogni giorno altre vite vengono spezzate. Nei telegiornali i servizi sono di pochi secondi, quando ci sono, ma il popolo congolese soffre da decenni. Per questo a livello personale chiedo a tutti di impegnarsi. Ognuno può essere una voce: non solo per il Congo ma per tutti i popoli oppressi. Se tutti iniziassero a denunciare, questa voce potrebbe diventare una forza potente. Quanti sanno che in Congo i bambini scavano nelle miniere per estrarre i minerali essenziali per i nostri telefonini e computer? Eppure nessuno sembra interessarsene».
