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Birmania. Il sisma scuote il Paese dimenticato. Il racconto dei missionari
Myanmar Il terribile terremoto del 28 marzo si è abbattuto su un popolo già in fuga dalle bombe del regime militare
FattiMyanmar Il terribile terremoto del 28 marzo si è abbattuto su un popolo già in fuga dalle bombe del regime militare
A Yangoon il telefono di Livio Maggi squilla mentre sta preparando cibo e medicinali da inviare a Mandalay, la metropoli da un milione di abitanti gravemente colpita dal sisma di magnitudo 7,7 che venerdì 28 marzo ha sconvolto il Myanmar. Direttore di New Humanity, ong emanazione del Pime, vive nel Paese da undici anni, dopo una lunga esperienza in Thailandia, tuttavia Maggi non ricorda una situazione simile. «Non si tratta certo del primo terremoto da quando vivo in Myanmar, ma non avevamo mai provato una scossa di questa portata – racconta – Qui a Yangoon i danni sono stati molto lievi, possiamo dire che tutto si è risolto in un grande spavento, ma a Mandalay la situazione è disastrosa. Molte persone con cui siamo in contatto per i nostri progetti stanno vivendo in strada per paura di nuove scosse e altri crolli». Le notizie dall’ex Birmania arrivano con il contagocce, la Giunta militare che governa l’ex colonia britannica non ammette giornalisti, ma a quanto è trapelato metà delle costruzioni di Mandalay sarebbero collassate, grossi danni anche in palazzi governativi si registrano nella capitale Naypyidaw, come pure nella zona turistica del lago Inle e in tutta la fascia pedemontana. Il punto di rottura è avvenuto lungo la faglia di Sagain, città in cui si è registrato l’epicentro, dalla quale non arrivano notizie perché sotto controllo dei ribelli del Nord: raggiungerla è pressoché impossibile per il personale internazionale, le condizioni delle vie di comunicazione e le concessioni fornite dal regime non consentono interventi immediati. La conta delle vittime e dei feriti a oggi è pressoché impossibile, i numeri sono destinati a lievitare nelle settimane a venire. A Yangoon, New Humanity conduce progetti in favore di ragazzi in situazioni di disagio, in particolare nel carcere minorile; all’attenzione alla disabilità dedica un’importante attività che si sviluppa in tre aree del Myanmar; si occupa, infine, di sviluppo agricolo e in particolare di fornitura di acqua ai villaggi montani. «Dopo il sisma ci siamo attivati subito – riprende Maggi – in questi giorni realizziamo un primo invio di materiale necessario, nelle prossime settimane daremo vita a un piano di interventi coinvolgendo anche alcuni medici. Devo dire che la piccola comunità italiana presente in Myanmar oggi, a partire dall’ambasciatore, si è subito mobilitata e ha offerto i primi aiuti. Siamo di fronte a una tragedia tale che è difficile dire se e come il Paese ne uscirà».
Una situazione già gravissima Dall’altra parte del confine, nel Nord della Thailandia, dal 2000 è attiva la missione Triveneta con sede nella Diocesi di Chiang Mai. Anche qui la scossa è stata formidabile, ma non ci sono stati feriti e anche i danni alle cose sono limitati, solo alcuni complessi della città sono stati dichiarati inagibili. «Lo spavento è stato enorme – conferma don Raffaele Sandonà, missionario padovano in sevizio presso la cattedrale di Chiang Mai – Edifici e infrastrutture hanno oscillato pericolosamente, ma non si sono verificati episodi drammatici come a Bangkok: il crollo di quel grattacielo in costruzione ha fatto molto scalpore, ma forse è dovuto anche alla scarsa qualità delle materie prime utilizzate». Comunità piccole o grandi di birmani, sono presenti in tutto il Paese. L’immigrazione non si è mai fermata, attratta prima dalla crescita economica della Thailandia e poi dalle condizioni in cui la popolazione viene sottoposta dal regime militare, il quale bombardava aree adiacenti all’epicentro del sisma già qualche decina di minuti dopo la scossa. «Nel territorio della nostra Diocesi – riprende don Raffaele – esistono tre campi per profughi birmani, controllati dalle forze dell’ordine, in cui si trovano circa 5 mila persone. Molti altri gruppi sono sparsi in villaggi e quartieri cittadini, spesso illegalmente. La Chiesa cattolica da sempre è impegnata a sostenere chi fugge dalla guerra. Certamente il terremoto aggrava una situazione già molto seria».
Il risveglio delle coscienze Don Bruno Rossi, anche lui missionario padovano, risiede in Thailandia da 25 anni, a Lampang segue un centro per ragazzi originari di villaggi rurali che lasciano casa per studiare e attraverso il progetto Laudato si’ sostiene gli agricoltori locali con la produzione di caffè (famoso il Caffè Bruno) e cacao. «Dopo il terremoto, per due giorni qui non si è parlato che di Bangkok – racconta – Nessuno faceva riferimento al Myanmar, sembrava che il sisma si fosse verificato in Thailandia. Il dramma ha rivelato come il Paese sia concentrato su se stesso, non è pronto a occuparsi e preoccuparsi degli altri. Ha preso coscienza che fenomeni apparentemente lontani possono invece influire gravemente sulla situazione interna. È come se a molti thailandesi, governanti compresi, si fossero aperti gli occhi sulla situazione che attraversa il Myanmar: mi auguro che da oggi in poi si parli di più anche della guerriglia in corso nel Paese, con il quale i contatti sono costanti e datati nel tempo, soprattutto grazie alla pastorale sociale della Diocesi di Chiang Mai che da sempre collabora con le chiese birmane».
La mobilitazione di Caritas Myanmar è stata immediata, anche se limitata dalla gravitàa della situazione e dalla scarsità di mezzi e di organizzazione che presenta il Paese colpito dal terremoto. «Presto si porrà il problema delle abitazioni perché la maggior parte, nella zona dell’epicentro, sono andate distrutte e serviranno dei rifugi semipermanenti. Non vanno bene le tendopoli – spiega all’Ansa Beppe Pedron, responsabile dei progetti in Asia per Caritas Italiana – che in queste occasioni vengono installate per la prima emergenza, perché in quella zona sono in arrivo anche i monsoni. È difficile fare previsioni puntuali ma per una ricostruzione, non solo fisica ma anche del tessuto sociale saranno necessari non meno di cinque anni». È possibile contribuire agli interventi di Caritas Italiana per l’emergenza, utilizzando il conto corrente postale n. 347013, le donazioni online, o il bonifico bancario specificando nella causale “Emergenza Myanmar” tramite: Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 24 C 05018 03200 00001 3331 111; Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT 66 W 03069 09606 100000012474; Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT91P0760103200000000347013; UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT88U0200805206000011063119
Anche la Chiesa italiana, riunita a Roma per la seconda Assemblea sinodale, ha deciso di contribuire con 500 mila euro alle prime necessità della popolazione del Myanmar colpita dal sisma del 28 marzo.
Voci dalla missione triveneta a Lamphun, nel Nord della Thailandia
«Noi qui a Lamphum stiamo bene. Quando è arrivata la scossa di terremoto, molto forte, mi trovavo dentro uno stabilimento commerciale. La seconda scossa mi ha fatto particolarmente paura, mentre la gente scappava urlando e piangendo»: è la prima testimonianza di don Bruno Soppelsa, missionario agordino, da anni in Thailandia. Del Myanmar, spiega il sacerdote, non si sa molto, solo quello che la giunta militare fa trasparire, nascondendo, limitando le immagini delle conseguenze del terremoto. «Per quattro anni la giunta militare che comanda gran parte del Paese ha impedito alle ong umanitarie di operare sul territorio, da essi controllato». Adesso permetterebbero ad alcuni operatori umanitari di intervenire, specialmente per ricevere essi stessi degli aiuti. D’altra parte, continuano a bombardare quel territorio per contrastare i ribelli. «È difficile capire come aiutare la popolazione senza rischiare che gli aiuti arrivino alla giunta militare», afferma una collaboratrice birmana di don Bruno fuggita dal Myanmar, che aiuta i missionari a tradurre le catechesi dal thai. La donna fa parte di un gruppo di cattolici scappati dal regime militare, che sono in contatto con i parenti e gli amici in patria. «Abbiamo sempre mandato aiuti, perché la popolazione sta creando abitazioni alternative nella foresta, essendo città e paesi bombardati dalla giunta militare – testimonia – Gli aiuti che riceviamo li facciamo avere agli sfollati attraverso due preti birmani di fiducia, che abitano con loro e conoscono chi ha bisogno. Si tratta di persone e zone vicine all’epicentro del terremoto, che già abbiamo aiutato in questi anni, per esempio con il progetto dell’asilo sostenuto dai bellunesi attraverso “Un pane per Amor di Dio”».
Ezio Del Favero