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Afghanistan un anno dopo. Kabul è in mano a talebani e terroristi
Un anno dopo la presa di Kabul i Taliban continuano a governare l’Emirato Islamico d’Afghanistan.
IdeeUn anno dopo la presa di Kabul i Taliban continuano a governare l’Emirato Islamico d’Afghanistan.
Sono alle prese con una crisi umanitaria, dissidi interni tra fazioni, presenze terroristiche sia complici sia nemiche sul territorio e il mancato riconoscimento internazionale, ma restano al potere. Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali, commenta: «Chi è al potere può essere fragile, ma in linea di massima è in salute, quello è il senso del governo. I talebani sono un movimento e come tutti i movimenti hanno diverse realtà che li compongono, non esistono “i talebani” come un monolite. Naturalmente sono passati vent’anni, non sono più quelli di allora, ma sono i talebani. L’anno scorso ero tra i pochi sconfortati dal loro ritorno in un momento di ubriacatura in cui parevano essere arrivati i “talebani democratici”».
Perché non sono riusciti a ottenere riconoscimento internazionale?«Il primo punto è: ai talebani interessa? Perché se ci tenessero dovrebbero fare delle cose che evidentemente non sono interessati a fare. Ciò che hanno fatto i talebani negli ultimi due anni, prima dell’uscita degli occidentali da Kabul, è stato assolvere a ciò che volevamo noi: volevamo che ci raccontassero delle bugie, volevamo credere alle loro bugie per non ammettere il nostro fallimento, innanzitutto morale. Abbiamo detto: “Vedete, ce ne andiamo, ma loro adesso faranno entrare le donne nel governo, faranno studiare le ragazze…”. Tutti sapevano che così non sarebbestato».
Anche la Cina non ha riconosciuto il governo talebano. Perché?«La Cina non ha la necessità di riconoscere ufficialmente il governo talebano, fa affari con esso senza riconoscerlo. Evidentemente al governo talebano, che sta facendo affari con la Cina, va bene così».
Che ruolo hanno invece le organizzazioni terroristiche presenti?«Da questo punto di vista ci sono due tipi di realtà: le organizzazioni volute dai talebani, l’eliminazione di al-Zawahiri dimostra come il capo di al-Qaeda vivesse serenamente nel centro di Kabul, e le organizzazioni, come la componente afghana dello Stato Islamico (ISK), che si oppongono ai talebani perché li considerano gente che parla con gli occidentali. Quindi tra gli integralisti islamici c’è una grande frattura, il che gioca a nostro favore perché un’unità delle organizzazioni jihadiste porrebbe al mondo occidentale una sfida molto difficile».
I talebani traggono dei vantaggi dalla presenza di organizzazioni terroristiche come al-Qaeda sul territorio?«Non si tratta di vantaggi, ma del fatto che chi condivide la tua visione del mondo è ben accetto. È cambiato molto dall’11 settembre 2001, nell’Afghanistan di allora vi erano i campi di addestramento, attualmente è un luogo in cui i vertici di alcune organizzazioni terroristiche non si possono più addestrare ma si possono incontrare, magari avendo il timore che incursori di forze speciali li vadano a trovare, ma sapendo che il governo di quel Paese, per quanto possibile, garantisce la loro sicurezza. Potersi sedere a parlare per ore è tantissimo per organizzazioni che sono strutturate per vivere nella clandestinità».
Di fronte a tutto ciò, esistono oggi delle opzioni per aiutare la popolazione afghana? «È impossibile politicamente anche solo immaginare di ritornare in Afghanistan e non esiste alcuna possibilità di fare pressione sui talebani. Loro sanno che a noi non interessa il destino degli afghani, se ci fosse interessato saremmo rimasti lì. Gli afghani sono destinati a soffrire perché alle piazze occidentali, non solo ai governi, di loro non interessa nulla. Se vi fosse stato in Occidente un movimento di piazza enorme, quel movimento probabilmente avrebbe potuto cambiare le decisioni politiche prima dell’uscita dall’Afghanistan».
Da fine settembre solo l’Istituto per le opere di religione (Ior) potrà gestire attività finanziarie e liquidità della Santa Sede e di istituzioni collegate. È quanto emerge da un rescritto di papa Francesco del 22 agosto scorso.
Francesca Campanini