Mosaico
«Speriamo bene che tutte queste aspettative sotto l’albero di poetiche relazioni in famiglia non vengano sconfessate dopo pochi minuti». Me lo diceva un’amica qualche giorno fa con quel timore noto ai più che il Natale si trasformi in un episodio horror dell’album di famiglia. Le ho dato, in tal senso, una buona notizia filmica: quest’anno abbiamo un vaccino per non cadere nella tentazione di quell’irreale condizione fatata che radunare le famiglie sia un’esperienza meramente dai toni pastello.
Le famiglie sono come i gingerbread, i biscotti di pan di zenzero, ecco carine ma assai speziate come gli episodi di Father Mother Sister Brother di Jim Jarmusch dal 18 dicembre nelle sale italiane. Leone d’Oro dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, l’opera del regista statunitense, considerato tra i più indipendenti della contemporaneità, è un “olio essenziale Jarmusch” in purezza, altissimo nel gestire con interpreti eccellenti questo divertissement, solo in apparenza, sulla famiglia tra imbarazzo, desolazione, conforto e, oserei dire, anche beatitudine.
È un rimedio alle feste e ai loro obblighi di zucchero a velo, a patto di lasciarsi ferire in maniera quasi impercettibile da questo lungometraggio costruito in forma di trittico. Sono tre episodi tra loro brillantemente collegati, in un modo tutto da scoprire, che raccontano le relazioni tra figli adulti e genitori piuttosto distanti e tra fratelli ambientati, nell’ordine del titolo, nel nord-est degli Stati Uniti, a Dublino e a Parigi. Di fronte a questi tre palcoscenici domestici si ha la sensazione di rubare un po’ di intimità a persone che non ci hanno invitato con la fortuna, però, che il regista di Coffee and Cigarettes non giudica quello che guarda e, quindi, invita anche noi alla stessa cautela.
È una commedia, ma già si capisce che scorrono fiumi di malinconia a cui trovare un posto nella tavola delle feste. E d’altronde per ridere avete Checco Zalone col Buen Camino de noialtri, per l’immaginazione avete Avatar: fuoco e cenere, per aggiungere dettagli alla Storia con la maiuscola avete Norimberga.
Per quelli che cercano l’opera che sfugge ai generi e al “ah che bello!” entro la prima metà del film c’è effettivamente Father Mother Sister Brother che nella terza pala finale, nelle mani dei due fratelli gemelli, diventa inaspettatamente anche un “altare”, che piacerà molto a chi non ha fretta di passare al film successivo e ha la pazienza di aspettare il rilascio lento del cinema che resta. Perché Jarmusch apparecchia il dramma eppure la sensazione che rimane è quella di un gioco – la famiglia che ti è toccata in sorte con le sue paranoie – del viaggio che viene messo in scena per ribadire un’appartenenza non così scontata, grazie anche al talento esasperato dell’autore nel rammentare l’anima degli oggetti, tra design ed etica, tra affetti e memoria, tra funzionalità e identità. Da shopaholic natalizi, orfani di Kinsella, abbiamo un film che ci aspetta.