Nelle ultime settimane, la nostra attenzione agli eventi internazionali è stata catturata dalle stranezze di Trump – mentre scrivo si attivano i dazi sulle merci europee – o dalla crisi nella Striscia di Gaza.
Vanno sottotono tantissime altre realtà, come le manovre di altri Paesi emergenti che hanno anch’essi mire espansionistiche. Un buon esempio è la Turchia di Recep Erdogan, l’uomo forte di Ankara. Erdogan non nasconde di desiderare il controllo del Medio Oriente, e di mirare a estendere l’influenza turca in Africa. Ad alcuni potrà sembrare dubbioso che la Turchia miri a diventare una superpotenza. Eppure, tutte le prese di posizione di Erdogan mostrano il desiderio di ricostruire la sfera di influenza che fu dell’impero ottomano. Negli ultimi decenni la Turchia ha sostenuto vari gruppi di opposizione in tutti i paesi mediorientali. La caduta di Damasco di qualche mese fa non è avvenuta per caso. Quando il movimento separatista curdo ha iniziato la resistenza armata contro il governo di Ankara (1984), la Turchia l’ha vista come una grave minaccia alla sicurezza del paese. La Siria di al-Assad aprì le porte ai guerriglieri del Pkk (il gruppo curdo), chiudendo un occhio sui campi militari da loro costruiti lì. La tensione crebbe sino al 1998, quando al-Assad fu costretto a ridurre il suo supporto ai curdi, e aprire una nuova fase nei rapporti con il governo di Ankara. La Turchia si impose presto come paese esempio di lungimiranza, sviluppo e capacità di produzione industriale. Un modello sostenuto dall’occidente. Come tutte le storie belle, anche questa ebbe fine. Da allora, la Turchia ha saputo intervenire con lungimiranza in tutte le crisi medio orientali, dando sostanza alle sue intenzioni di egemonia. Allo stesso tempo, Erdogan ha saputo allontanarsi dagli Stati Uniti e tenere a giusta distanza la Russia. La svolta è molto probabilmente identificabile nella battaglia di Idlib, nel nord ovest della Siria. Qui, nel 2020, le forze turche vinsero contro due eserciti – siriano e iraniano – e le forze russe della Wagner. Da allora la Turchia ha lavorato da dietro le quinte per conquistare Damasco, e ha vinto anche questa battaglia. Ma Erdogan non è stato a guardare neppure in altre regioni di importanza strategica. In Africa, la Turchia si presenta come una tessitrice di equilibri nelle aggrovigliate dinamiche africane. Anche qui Erdogan ha sinora operato con il passo felpato, senza fretta, pensando al lungo termine. Il presidente turco e alcuni suoi ministri hanno visitato vari paesi africani, proponendo prodotti alimentari, tecnologia e armi. I droni militari turchi hanno un ottimo mercato nel continente. Erdogan non ha tralasciato Paesi con governi deboli o inesistenti: Somalia e Libia in prima fila. In Somalia, la Turchia ha di fatto creato un vero e proprio hub commerciale. Oggi a Mogadiscio si può trovare di tutto e i porti sul Mar Rosso hanno una costante presenza turca. L’interesse turco non si ferma a questi due paesi. La Turchia ha il vantaggio di proporsi come un Paese alla pari, pronto a proposte commerciali proficue per tutti. È la famosa terza via turca: Paese musulmano industrializzato, senza un passato imbarazzante o belligerante nel continente e che non dispiace ai Paesi africani. Erdogan promette di non intromettersi in questioni locali, offre borse di studio per universitari, favorisce la costruzione di moschee, distribuisce programmi televisivi a basso costo per influenzare l’opinione pubblica. La seconda moschea più grande dell’Africa si trova ad Accra, Ghana, ed è stata finanziata da Diyanet, l’amministrazione turca responsabile degli affari religiosi. In silenzio, ma risolutamente, la Turchia si sta ritagliando un ruolo importante negli equilibri regionali e africani. L’imperialismo e l’espansione non sono retaggio delle sole super potenze.
Giuseppe Caramazza missionario comboniano
