Chiesa
Con serenità mons. David Martinez de Aguirre Guinea, vescovo titolare e vicario apostolico di Puerto Maldonado, in Perù, affronta la sua missione in una regione amazzonica tra le più complesse e delicate del pianeta. Il presule ogni giorno si ispira alle parole del Vangelo per orientare ed orientarsi nella complessa missione pastorale affidatagli dalla Chiesa. Nato in Spagna 55 anni fa, ha studiato Filosofia a Valladolid e Teologia a Salamanca, conseguendo una laurea in Teologia biblica all’Università di Deusto (Bilbao) frequentando anche l’École Biblique et Archeologique Française a Gerusalemme Entrato nell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), è stato ordinato sacerdote nel 1999 e poco dopo è partito per la missione in Perù, dove più volte ha avuto modo di incontrare il futuro Papa Leone XIV. Segretario speciale del Sinodo per l’Amazzonia del 2019, l’anno precedente aveva partecipato attivamente all’incontro con i popoli dell’Amazzonia, accogliendo anche Papa Francesco, giunto in Perù per quell’occasione. Da anni è fortemente impegnato a sostegno dei diritti degli indigeni e del rinnovamento della Chiesa in Amazzonia, denunciando con forza l’aggressione all’ambiente amazzonico e le violenze che caratterizzano la regione.
Eccellenza, qual è oggi la situazione sociale, morale e ambientale nella regione di Puerto Maldonado e nell’Amazzonia peruviana?
L’Amazzonia peruviana è una regione che accoglie molte persone provenienti da diversi luoghi. Attualmente ospita una popolazione per lo più povera e semplice, in gran parte proveniente dalle Ande, persone che giungono qui alla ricerca di terra e di lavoro. Questo comporta una pressione sempre più forte sull’ecosistema amazzonico, finalizzata all’estrazione di risorse: legname, coltivazioni di coca, monocolture e, recentemente, da una intensiva estrazione mineraria, in particolare dell’oro alluvionale.
Quest’ultima operazione rappresenta un problema serio in tutta l’Amazzonia peruviana, così come in altri Paesi amazzonici. Sta generando conflitti sociali e ambientali molto gravi. In termini di depredazione ambientale, sappiamo bene che dove c’è distruzione della natura, anche i contesti sociali diventano molto complessi. Sul piano spirituale, nei popoli originari si vive una spiritualità profondamente legata al contatto con la natura. Nei popoli andini, invece, la spiritualità è diversa e, a volte, perde un po’ il senso comunitario. Spesso la spiritualità che si vive nei nostri territori è quella di un Dio a cui si chiede, da cui si desidera ricevere. Forse ci manca un po’ la dimensione di un Dio con cui si stabilisce un impegno, da cui si ricevono comandamenti di vita che ci spingono a prenderci cura degli altri, dell’ambiente e di noi stessi.
Quali sono le “ferite” e i principali bisogni del popolo dell’Amazzonia, in particolare delle comunità indigene che lei visita e accompagna da molti anni?
Uno dei temi più sentiti che le popolazioni indigene – con le quali ho un legame molto personale – ci esprimono come richiesta e, al tempo stesso, come gratitudine, è quello dell’educazione.L’educazione come strumento per entrare in dialogo con il mondo globale e per poter offrire un serio contributo attraverso la propria visione del mondo, la propria idea di “buona vita”, secondo la loro visione del cosmo.A volte dal mondo occidentale vengono imposti – anche senza volerlo – modelli di sviluppo che danneggiano la vita di questi popoli e del loro ambiente. A tutto ciò si aggiunge la questione della salute, molto precaria. Pensiamo che siamo in Amazzonia, un luogo ricchissimo d’acqua, forse l’ecosistema con più acqua dolce al mondo, eppure le popolazioni non hanno accesso all’acqua potabile. Questo genera alti tassi di malattia e di mortalità. Altri bisogni riguardano la sicurezza. In questo momento stiamo vivendo un periodo molto difficile, con un aumento dell’insicurezza e una criminalità sempre più organizzata, che rappresenta una seria minaccia per le popolazioni amazzoniche.
L’Amazzonia rischia di essere devastata da interessi economici e traffici illegali, legati all’oro piuttosto che alla cocaina o altro. Come può la Chiesa essere una sorta di “muro” contro questa distruzione ambientale?
Noi siamo accanto alla popolazione. Papa Francesco ci ha fornito strumenti molto importanti: l’Evangelii Gaudium, la Laudato si’, Querida Amazonia, la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia. Questi documenti tracciano per la Chiesa linee d’azione molto chiare. Noi stiamo con le comunità, le ascoltiamo, cerchiamo di costruire insieme a loro cammini di speranza. È possibile vivere prendendosi cura dell’Amazzonia. È possibile creare modelli di vita sostenibile senza distruggere la foresta. Ad esempio, tramite Caritas, promuoviamo coltivazioni agroforestali per ottenere una produzione che consenta alle famiglie di vivere dignitosamente, senza depredare l’ambiente.
Lei ha partecipato attivamente al Sinodo per l’Amazzonia voluto da Papa Francesco. A distanza di anni, qual è il frutto più importante di quel momento storico? Ci sono stati cambiamenti concreti?
Il Sinodo per l’Amazzonia è stato un momento di forte legittimazione, un po’ come San Paolo che si reca a Gerusalemme per ricevere il sostegno degli apostoli. Così anche noi, come Chiesa amazzonica, ci siamo sentiti riconosciuti dalla Chiesa universale.Abbiamo sentito che i percorsi che stiamo costruendo – come il rafforzamento del ruolo dei laici, dei ministeri battesimali e ordinati, la vicinanza alle comunità, e l’integrazione dell’aspetto socio-ambientale come parte del Vangelo – sono stati confermati e condivisi da tutta la Chiesa. Il Sinodo ci ha anche portato a riconoscerci come un bioma unico, con una connessione culturale, geografica, biologica, spirituale e religiosa. Per questo, stiamo cercando di sviluppare una struttura ecclesiale territoriale specifica per l’Amazzonia. È nata così la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia, che promuove, ad esempio, un programma universitario per portare l’istruzione dove le università non arrivano. Inoltre, è in corso una rete di educazione interculturale bilingue per promuovere l’educazione nei popoli amazzonici.
Viviamo in un’epoca di guerre: Medio Oriente, Ucraina, conflitti dimenticati in Africa e America Latina. La Chiesa può essere solo una voce morale o anche una forza concreta di pace?
Il Papa, il nostro Papa “peruviano”, ci ha salutati con queste parole: “La pace di Cristo sia con voi. Il potere del male non prevarrà”. Questa è la nostra speranza. La Chiesa si fonda sulla pace di Cristo, e quindi porterà sempre un messaggio di pace. Nelle nostre comunità, nelle parrocchie, proclamiamo un Vangelo che ci invita a essere strumenti di trasformazione.
Il discepolo di Cristo è chiamato a costruire fraternità, giustizia e pace universale.
E lei, come vescovo, di fronte alla guerra, all’impotenza e alla crisi della dignità umana, come vive tutto questo?
Con molto dolore. Perché sento la responsabilità che Cristo ha affidato alla sua Chiesa, e in particolare agli apostoli, di accompagnare e farsi accompagnare dal popolo. Come vescovo e pastore cerco di vivere nella comunione, nella costruzione dell’unità. E da questa unità nella Chiesa nasce anche la comunione con altre Chiese e con i fratelli che la pensano diversamente.Credo che essere “agenti di comunione” sia una delle cose più belle che un vescovo possa fare: cercare sempre ponti di dialogo per costruire una società pacifica.
La fame nel mondo aumenta, mentre la produzione alimentare è abbondante. È solo una questione politica o anche morale?
I popoli originari ci dicono che è anche una questione spirituale. Per questo desiderano sedersi al tavolo e offrire la loro visione del mondo.Quando riconosciamo che questo mondo viene da un Dio che ci ama profondamente e che lo ha creato per tutti, nasce una spiritualità che ci porta a riconoscere la terra come un dono sacro, un territorio sacro in cui Dio si manifesta. Un dono che è da condividere con i fratelli, anch’essi sacramento, presenza viva di Dio.Questa visione spirituale porta conseguenze politiche e sociali, che si traducono in un autentico impegno per il bene comune.
Dunque esiste un legame profondo tra crisi ambientale e crisi sociale globale?
Sì, è una crisi sola. Uno dei grandi doni che ci ha lasciato Papa Francesco è questa chiarezza. Qui in Amazzonia ci troviamo schiacciati tra due scuole di pensiero. Da un lato, c’è chi dice “lasciateci lavorare per uscire dalla povertà”. Tuttavia, se questo porta alla distruzione del pianeta, si finisce per autodistruggersi. È giusto chiedere lavoro e mezzi di sostentamento, ma non a costo di ipotecare il futuro. Dall’altro lato, c’è chi vuole preservare la natura, ignorando però il grido dei poveri che cercano di sopravvivere. La crisi ambientale genera crisi sociale: basta vedere le aree più depredate per trovare tratta di esseri umani, malnutrizione, violenza e perversione in tutte le forme. E, viceversa, dove c’è estrema povertà, l’ambiente naturale viene distrutto e tutto è degrado. È una crisi unica e dobbiamo affrontarla come tale.
Dobbiamo rispondere al grido della terra e al grido dei poveri.
Come immagina la Chiesa del futuro in Amazzonia e nel Sud del mondo? Più povera, più profetica, più locale?
Sarà una Chiesa più locale, e quindi più povera e più profetica.
In Amazzonia, le congregazioni religiose storiche si stanno progressivamente ritirando e vengono sostituite da operatori pastorali locali: sacerdoti e laici provenienti dalle stesse comunità. Sarà una Chiesa diversa, ma più autentica, capace di rispondere alle vere esigenze dei popoli. Perché i sacerdoti usciranno dalle stesse realtà che vivono le difficoltà quotidiane. E io ho fiducia che questa Chiesa, che sta crescendo, sarà una Chiesa profondamente incarnata nel suo territorio.
Quale messaggio vuole inviare ai giovani in un mondo così segnato dal disincanto e dalla paura del futuro?
Dobbiamo vivere con speranza, e non c’è modo migliore per cambiare questo mondo che cercare di aiutare gli altri. Quando un giovane cerca un futuro, in realtà sta cercando la felicità. Ebbene, il modo migliore che Cristo ci ha insegnato per essere felici è cercare di rendere felici gli altri.Se i giovani si impegnano a cercare un mondo migliore per gli altri, ne beneficeremo tutti. Io direi loro di non scoraggiarsi, e di cercare di connettersi con le realtà sofferenti, perché questo li riempirà di vita, di significato e di speranza.Scopriranno un mondo molto diverso da quello che ci mostrano i social o la pubblicità. Stando a contatto con la vita, e qui in Amazzonia anche con la natura, potremo scoprire i sentieri e le direzioni da seguire per andare avanti. Direi loro di non scoraggiarsi e che troveranno le risposte che stanno cercando.
Intervista pubblicata originariamente sull’Eco di Bergamo