Fatti
Saranno pure quantità eternit minime, come ha tenuto a rassicurare il sindaco di Padova, Sergio Giordani. Fatto sta che il cantiere di demolizione dell’ex edificio Configliachi, nella zona nord del quartiere Arcella, è stato momentaneamente sospeso per la presenza di amianto. Del resto, l’amianto torna ciclicamente a galla: basta “toccare” il nostro passato edilizio (e non solo) per rendercene conto di quanto se n’è usato e abusato.
«L’amianto rappresenta, simbolicamente, l’esemplificazione di ciò che noi non vogliamo e detestiamo: l’indifferenza al valore della salute nel lavoro, l’accettazione rassegnata che il prezzo da pagare per il lavoro non sia solo la fatica e i sacrifici, ma anche la loro stessa integrità fisica». A ribadirlo, con vigore, è Rosanna Tosato, presidente della Fondazione vittime dell’amianto “Bepi Ferro”, intervenuta mercoledì 19 novembre in un appuntamento all’interno della sede padovana della Cgil nel quale è stata sottolineata la mancanza di un Piano regionale amianto in Veneto a 33 anni da quella legge nazionale che ne dava attuazione.
Evento “sconnesso” con l’episodio del Configliachi, ma che dimostra quanto il tema sia sempre attuale. Con 2.864 casi di mesotelioma (tumore maligno che colpisce il mesotelio, una membrana che riveste gli organi interni, come i polmoni, causato dall’inalazione e dall’esposizione alle fibre di amianto e che si manifesta anche dopo 40-50 anni) segnalati al Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNaM) dal 1993 al 2021, il Veneto è al quinto posto in Italia. E per il 68,4 per cento si tratta di esposizioni di natura professionale. «Nel 2018 è stata sancita un’intesa Stato-Regioni per l’adozione di un protocollo di sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti all’amianto che dopo l’anamnesi lavorativa prevede attività specifiche di base, accertamenti e controlli successivi mirati – ricorda Tosato – Eppure dal varo della norma del 1992, inspiegabilmente, in Veneto manca un piano regionale amianto e nulla si sa del funzionamento della sorveglianza sanitaria agli ex esposti. Stesso silenzio anche sul censimento dei siti interessati da attività di estrazione, di lavorazione, di smaltimento e di bonifica così come il censimento degli edifici pubblici contenenti amianto».
Il riferimento è alla legge nazionale 257/92, pionieristica per certi versi, che bandiva categoricamente in Italia l’estrazione, la produzione, l’importazione, l’esportazione dell’amianto. All’interno di questa, nell’articolo 10, si chiedeva alle Regioni di adottare piani di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica. In Veneto, «con immediata eseguibilità» nel dicembre del 1996 il Consiglio regionale deliberava un piano, ma in pratica – sottolinea la Fondazione Bepi Ferro – non c’è mai stata attuazione se non una mappatura degli uffici pubblici condotta da Arpav, intorno al 2009, di cui però non si conoscono i risultati. «In Veneto non sappiamo niente: di cittadini lo reputiamo gravissimo – insiste la Fondazione – Abbiamo una lunga assenza. In rete non c’è nulla, la legge per essere conosciuta dev’essere pubblicata, no? Un piano, del resto, è una delibera a valenza di legge».
Domande che la Fondazione rivolgerà al neo-presidente Alberto Stefani, lanciando anche richieste urgenti: «In Veneto manca il Pdta (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) per i malati di mesotelioma, a conferma che da noi non c’è ancora un approccio inclusivo nel trattamento del mesotelioma, cosa che invece le altre Regioni hanno fatto».
La Fondazione vittime dell’amianto “Bepi Ferro” nasce iI 23 aprile 2008 «per dare voce a quei lavoratori esposti all’amianto che negli ultimi decenni sono stati definiti “lavoratori invisibili”, perché di amianto si parla raramente e malvolentieri, e perché la maggioranza di loro è in pensione e ha quindi poca voce nella società».