StorieAntonio Compagnin di Montegalda ha quasi 94 anni e da sempre coltiva la passione per il teatro: scrive, recita, fa il regista ma anche lo sceneggiatore, il coreografo, il costumista. «Avrei potuto diventare un attore vero e proprio, ma mancavano i soldi per poterlo fare»
Aun passo dai novantaquattro anni, non fatica a ricordare, passo dopo passo, molte delle arie liriche più celebri. La prova, Antonio Compagnin di Montegalda, la offre non appena sente l’abbrivio di un disco, che poi lui accompagna sovrapponendosi al cantante stesso. Se a questa lucidità aggiungiamo le sue altre passioni, dire “Toni” Compagnin a Montegalda equivale a identificare decenni di storia del paese. C’è poi chi sentendone il nome, abbozza un sorriso, non per scherno, ma per buon ricordo. Il perché è rinchiuso nella pila di volumi finemente rilegati che sono il “tesoro” dei Compagnin: «Sono la raccolta dei copioni teatrali, in parte scritti da me e in parte rivisti, che rappresentano l’intera mia vita passata tra bottega e palcoscenico, da attore e regista di teatro vernacolare» spiega Toni. Uno degli ultimi in circolazione, discendente di una tradizione che sta scomparendo con il teatro popolare. Quello di parrocchia per intenderci, che rallegrò più generazioni del secolo scorso e che a Montegalda, nato intorno agli anni Cinquanta, ha ancora una roccaforte di resistenza artistica grazie a quella compagnia, “I Gualdi”, fondata dal maestro Compagnin nel 1978. Oggi Toni si gode i ricordi di una vita, tanto intensa da venire liquidata da lui con la proverbiale ilarità che lo contraddistingue. «Un moderno Ruzzante o Goldoni?» gli chiediamo. «Ghe no fate così tante, da esserme desmentegà!» è la sua pronta risposta. Quasi una battuta di fine commedia la sua, perché lui di commedie se ne intende eccome. A cinque anni era già incontrastato protagonista nelle recite dell’asilo e della scuola elementare, mostrando il suo naturale talento attoriale che lo accompagnerà per tutta la vita. A dodici anni poi, si troverà nel pieno della Seconda Guerra mondiale ed è da lì che parte quell’altra sua passione per le cose che hanno una storia: «Fin da piccino – racconta Toni – cercavo oggetti strani e li collezionavo. Portavo a casa tutto quello che suscitava curiosità. Nell’immediato Dopoguerra, tornai a casa con munizioni, una pistola e un bazooka trovati per strada, lasciati dalle forze alleate passate dalle nostre zone per liberarci, facendo disperare mia madre». Cresciuto tra le stoffe della bottega di papà Gino, diventerà presto commerciante di chincaglierie e corredi, frequentando i mercati del padovano e vicentino. «Sono sempre stato attratto dal palcoscenico, così papà decise di mandarmi a frequentare una compagnia teatrale di Breganze, dove mossi i miei primi passi teatrali, grazie alla quale ebbi modo di esibirmi per tre volte al teatro Verdi di Padova. Avrei potuto diventare un attore vero e proprio, ma mancavano i soldi per poterlo fare». Così si è fatto bastare la carriera amatoriale!
Diviso tra lavoro e teatro, il nome di Toni Compagnin comincia ad avere risonanza in paese: nel ’72 il regista locale e suo maestro Lino Piron lo vuole per la commedia vernacolare Al ricovero, dentro quello storico teatro, Stella Maris, di Montegalda che oggi rischia di essere demolito. Quello fu il suo trampolino di lancio: «Allora avevo il mito di Salvo Randone – ricorda Toni – e confesso che se non ci fossero stati limiti economici famigliari, avrei aspirato a diventare un attore di professione oltre che per vocazione». Sette anni dopo il suo esordio nel teatro amatoriale, il regista Lino Piron si ammala e passa l’eredità artistica al giovane Toni Compagnin: «Allora ero un tuttofare, tra sceneggiatore, attore, coreografo, costumista. Serviva un arredo di scena? Sapevo come e dove recuperarlo. Erano gli anni in cui il teatro era popolare in tutti i sensi. Si faceva la fila per vedere una commedia». Ormai il volto di Toni è divenuto noto, per la sua abilità di teatrante e come regista: «Prima dei rifacimenti di commedie già scritte, poi interi canovacci scritti tutti da me». Nasce così, sulla scia di tanto entusiasmo la compagnia i “Gualdi” di Montegalda, con la quale saliranno sul palco anche le tre giovani figlie, Marta, Anna e Alessandra che ne diventerà la spalla destra. Mentre la moglie Lina Crivellaro di 90 anni, settanta dei quali trascorsi al fianco di Toni, sceglie di stare al botteghino e dietro le quinte. Una famiglia di teatro, dove ancora oggi si parla di teatro: «Che la vita sia come un teatro e noi siamo gli attori è cosa nota. Per di più io sono pure regista: se avrò più meriti o colpe lo deciderà il Padreterno», ammonisce Toni. L’ultimo suo lavoro a ottant’anni, prima di passare il testimone a un suo allievo, Giuseppe Turetta (oggi ottantenne), che porta avanti la compagnia che riempie ancora i teatri.
Scomparse le compagnie, stanno scomparendo anche i teatri parrocchiali. Quello di Montegalda, Stella Maris, edificato negli anni ’50 con un preciso intento sociale, oggi rischia la demolizione. La parrocchia sembra infatti incapace di sostenere i costi di restauro e gestione. Per oltre cinquant’anni è stato il palcoscenico dei “Gualdi”. Invecchiati loro, è invecchiato anche lo storico teatro.
Ma che fine ha fatto il teatro popolare, quello che rifioriva quando ancora la televisione non aveva occupato ogni spazio della nostra vita? Estinto o quasi. Parliamo di una tradizione secolare, dove la lingua, gli usi e costumi erano la trasposizione in scena della vita vera. Quel clima raccontato da Goldoni e Ruzzante che ha in Toni Compagnin uno degli ultimi capisaldi. «Non el scherzarà miga, vero sior!? Quei là faseva sul serio, mentre noialtri fazevimo ridere vedendo quanto capitava davanti ai nostri oci!» le parole del regista e attore novantaquattrenne che oggi vive nella sua casa di Montegalda, piena di ricordi. «Se siamo stati dei personaggi è perché in scena ci siamo divertiti tanto, e altrettanto abbiamo dato al pubblico, perché fare teatro è faticoso, ma poi un applauso cancella ogni fatica». dice Compagnin.
