“Nella difficile fase in cui siamo immersi è indubbio che nel Paese si stia allargando la forbice delle disuguaglianze e dei divari, mentre le differenze non riescono a diventare risorse, tanto da lasciare le società locali – e in particolare i piccoli centri periferici – alle prese con nuove solitudini e dolorosi abbandoni. Sullo sfondo, assistiamo alla più grave eclissi partecipativa mai vissuta. S’impone, dunque, una diversa narrazione della realtà, capace nel contempo di manifestare una chiara volontà di collaborazione e di sostegno autentico ed equilibrato, al fine di favorire le resistenze virtuose in atto nelle cosiddette Aree interne, dove purtroppo anche il senso di comunità è messo a rischio dalle continue emergenze, dalla scarsa consapevolezza e dalla rassegnazione”.
Inizia così la “Lettera aperta al Governo e al Parlamento”, sottoscritta da 139 tra cardinali, arcivescovi, vescovi e abati, che sarà consegnata all’Intergruppo parlamentare “Sviluppo Sud, Isole e Aree fragili”. Il testo, pubblicato sul sito chiesacattolica.it, resta aperto per ulteriori adesioni. “La Lettera – spiega mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, promotore dei convegni sulle Aree interne – è un contributo che offriamo al Governo e al Parlamento, perché non possiamo e non dobbiamo rassegnarci a sancire la morte di una parte significativa della Nazione. Ne sortirebbe un danno per tutti. Noi crediamo che, accanto alle criticità, che pure ci sono, le aree interne possono vantare grosse potenzialità, che devono però essere valorizzate in un progetto organico che richiede tempi anche lunghi. Una sfida che la politica deve saper cogliere se non vuole assistere al proprio fallimento. Noi siamo già presenti sul campo e siamo disponibili a offrire il nostro contributo”.
La recente pubblicazione del Piano strategico nazionale delle Aree interne, che aggiorna la Strategia nazionale per questi territori, “delinea per l’ennesima volta il quadro di una situazione allarmante, soprattutto per il calo demografico e lo spopolamento, ritenuti nella sostanza una condanna definitiva”, sottolinea la Lettera aperta. L’Obiettivo 4 della Strategia nazionale s’intitola “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”.
In definitiva, si commenta nella Lettera “un invito a mettersi al servizio di un ‘suicidio assistito’ di questi territori. Si parla, infatti, di struttura demografica ormai compromessa”. In sintesi, “il sostegno per una morte felice”.
La Lettera ricorda: “In questo quadro complesso – e preoccupante! –, la comunità ecclesiale resta una delle poche realtà presenti ancora in modo capillare sul territorio nazionale”. Già nel maggio 2019 i vescovi della Metropolia beneventana sottoscrissero un documento (“Mezzanotte del Mezzogiorno? Lettera agli amministratori”) e dal 2021 ogni anno, a Benevento, s’incontrano vescovi provenienti da tutte le regioni d’Italia “al fine di avviare un confronto con l’obiettivo, se non di enucleare una pastorale per le aree interne, almeno di abbozzarne qualche linea”.
“La stessa Caritas italiana, facendo seguito alle richieste delle Caritas diocesane, sta avviando un coordinamento nazionale per le aree interne, pure con l’intento di sostenere le realtà territoriali nell’elaborazione di progetti che promuovano la coesione sociale e favoriscano la ‘restanza’, ovvero la possibilità concreta per le persone, soprattutto i giovani, di scegliere di rimanere e costruire il proprio futuro nei luoghi in cui sono nati” e “diversi interventi promossi con i fondi dell’8xmille testimoniano questa attenzione concreta: attivazione di una rete d’infermieri e operatori sociosanitari di comunità, servizi di taxi sociale, valorizzazione delle risorse esistenti per favorire occupazione e imprenditorialità locale”.
“Come vescovi e pastori di moltissime comunità fragili e abbandonate, quindi – viene chiarito nella Lettera -, non possiamo e non vogliamo rassegnarci alla prospettiva adombrata dal Piano strategico nazionale delle Aree interne”.
E “non possiamo del resto non considerare come, nel corso degli anni, documenti e decreti governativi e regionali siano finiti in un ingorgo di dispositivi legislativi per lo più inapplicati, non di rado utili soltanto a consolidare la distribuzione di finanziamenti secondo logiche politico-elettorali, mettendo spesso le piccole realtà in contrasto tra loro e finendo per considerare come progetti strutturali piccoli interventi stagionali”.
Di qui la richiesta che “venga esplorata con realismo e senso del bene comune ogni ipotesi d’invertire l’attuale narrazione delle aree interne”:
“Chiediamo altresì di avviare un percorso plurale e condiviso in cui gli attori contribuiscano a costruire partecipazione e confronto così da generare un ripopolamento delle idee ancor prima di quello demografico”, prosegue la Lettera.
Non solo: “Riteniamo, inoltre, che si debba ribaltare la definizione delle aree interne, passando da un’esclusiva visione quantitativa dello spazio e del tempo – in cui è ancora il concetto di lontananza centro-periferia a creare subalternità – a una narrazione che lasci emergere una visione qualitativa delle storie, della cultura e della vita di certi luoghi:
si favoriscano esperienze di rigenerazione coerenti con le originalità locali e in grado di rilanciare l’identità rispetto alla frammentazione sociale; s’incoraggi il controesodo con incentivi economici e riduzione delle imposte, soluzioni di smart working e co working, innovazione agricola, turismo sostenibile, valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, piani specifici di trasporto, recupero dei borghi abbandonati, co-housing, estensione della banda larga, servizi sanitari di comunità, telemedicina”.
Per i firmatari della Lettera,
“in questi luoghi in cui la vita rischia di finire, essa può invece assumere una qualità superiore:
guardarli con lo stesso spirito con cui ci si pone al capezzale di un morente sarebbe – oltre che segno di grave miopia politica – un torto fatto alla Nazione intera, poiché un territorio non presidiato dall’uomo è sottoposto a una pressione maggiore delle forze della natura, con il rischio – per nulla ipotetico – di favorire nuovi e sempre più vasti disastri ambientali, senza contare il rischio della perdita di parte di quell’immenso patrimonio artistico-architettonico che fa dell’Italia intera un museo a cielo aperto”.
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Tali riflessioni, “frutto di esperienze maturate sul campo”, sono offerte “in spirito di serena collaborazione”
e per questo si spera che “siano fatte oggetto di attenta riflessione da parte del Governo e del Parlamento. Per questo, saremmo lieti di poter esporre le nostre riflessioni in un dialogo sereno e costruttivo, qualora ciò si ritenesse opportuno”.