Idee
Assistenzialismo o servizi sociali? Tante risorse da gestire
Investire nell’incontro fra diritti e doveri, nel miglioramento della vita delle persone e famiglie e nei servizi per aiutare ad aiutarsi
IdeeInvestire nell’incontro fra diritti e doveri, nel miglioramento della vita delle persone e famiglie e nei servizi per aiutare ad aiutarsi
Nell’articolo 3 la Costituzione ci chiede di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Nell’art. 4 invita ogni cittadino a «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Sono parole impegnative, rivolte a tutti, anche alle persone aiutate dai servizi sociali. L’art. 38 ci chiede di non confondere il pronto intervento sociale con le azioni professionali finalizzate ad «aiutare ad aiutarsi», valorizzando le capacità di ogni persona. Infine, l’art. 118 ripropone il senso della sussidiarietà intesa come reciprocità solidale, tra persone e tra istituzioni. Incoraggia gli operatori sociali a non diventare assistenzialisti e prestazionisti, confondendo le prestazioni con le soluzioni, ricordando ai loro enti e ai loro destinatari che le risorse della solidarietà fiscale possono essere trasformate da costo a rendimento investendo nell’incontro tra diritti e doveri.
Come i servizi sociali possono operare su grande e piccola scala Il “Piano Ina-Casa” nel 1949 ha affrontato l’emergenza abitativa postbellica, con un grande concorso di responsabilità e risorse condivise tra lo Stato, i datori di lavoro e i lavoratori. Nel 1949 il piano è stato avviato con oltre 650 cantieri che i cinegiornali descrivevano come una «grande opera per ricostruire le case e le persone». I risultati finali nel 1962 sono stati descritti così: lavoro ogni anno per 40 mila operai e 350 mila case consegnate alle famiglie, a partire da quelle più povere, provenienti dalle campagne, dal Sud, dall’Istria e dalla Dalmazia. I muratori costruivano le case, gli assistenti sociali costruivano le comunità, incoraggiando le persone ad affrontare solidalmente la vita nei paesi e nelle città. Con il loro lavoro hanno sviluppato un nuovo modello di assistenza sociale, senza limitarsi a dare sussidi ma investendo nel miglioramento della vita delle persone e delle famiglie che, insieme, sono uscite dalla povertà e dalla miseria.
Lo sviluppo dei servizi sociali: molte parole e pochi risultati Il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 parlava di servizi sociali come erogazione di servizi, gratuiti o a pagamento, o di prestazioni economiche in denaro e in natura, con capacità professionali esperte nel costruire sistemi di fiducia emancipanti. Questa chiave di lettura è ripresa dal decreto legislativo n. 112/1998, precisando le funzioni e i compiti amministrativi dei servizi sociali: la tutela dell’infanzia, i diritti dei minori, dei giovani, delle persone anziane, delle famiglie, delle persone con disabilità. La visione sistemica è sintetizzata nel titolo della legge 328/2000, “Sistema integrato di interventi e servizi sociali”. Sono passati quasi 50 anni dal 1977 e ancora oggi ci chiediamo se l’assistenza sociale deva garantire beneficenza pubblica o invece servizi per le persone, le famiglie, le comunità, investendo nell’aiutare ad aiutarsi e prevenendo la dipendenza assistenziale.
Con quante risorse a disposizione Dal 2012 al 2021 la spesa per assistenza sociale è passata da 51 miliardi di euro a 82,8 miliardi. Nello stesso arco temporale i poveri assoluti sono passati dal 4,4 per cento della popolazione (2012) al 9,4 per cento (2021). Sono contemporaneamente cresciuti i sussidi assistenziali e i poveri assoluti. Come spiegare questo risultato paradossale? Basta analizzare i dati dei paesi dell’Unione Europea che hanno investito in servizi e non in sussidi. Noi destiniamo ai sussidi il 90 per cento delle risorse, che in realtà sono più di 83 miliardi, perché ci sono altre erogazioni assistenziali che non vengono conteggiate. Emergono dai dati Istat, Inps, Rgs (Ragioneria generale dello Stato) e Upb (Ufficio parlamentare di bilancio), scoprendo altre erogazioni che non sono previdenziali ma assistenziali. La buona notizia è che abbiamo una grande quantità di risorse mal gestite. Potrebbero essere meglio utilizzate con criteri di costo/efficacia. Un’altra buona notizia è che queste risorse, insieme con quelle dei fruitori, potranno essere investite nei Ssig (Servizi sociali di interesse generale). Se ne parla da tempo nella zona Ue. In conclusione, la sfida iniziata nel 1977 può oggi contare sui Ssig e sulle nuove gestioni Ats (Ambiti territoriali sociali). Ma resta un problema, il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…”. Tra gli ostacoli ci siamo anche noi, ad esempio chi non affronta questa sfida e promette assistenzialismo di stato a ogni appuntamento elettorale.
Tiziano Vecchiato Presidente Fondazione Emanuela Zancan