In uno scenario sociale sempre più complesso e frammentato, garantire pari diritti e servizi sociali essenziali ai cittadini su tutto il territorio nazionale non è solo un compito della politica, anzi, della buona politica, ma anche un dovere costituzionale, come ricorda l’articolo 117 della stessa Costituzione. Ecco, dunque, che i famigerati Leps, i Livelli essenziali delle prestazioni sociali, sanciti dalla legge e inderogabili, impongono a Stato, Regioni e Comuni una profonda riorganizzazione dei modelli di governance locale. In questa direzione, con una nota pubblicata lo scorso 30 giugno sul sito del Ministero del lavoro delle politiche sociali, è stato approvato il decreto interministeriale con il quale sono state adottate le linee guida per la definizione dei modelli organizzativi degli Ambiti territoriali sociali (Ats), strumento fondamentale per supportare l’attuazione uniforme dei Leps sull’intero territorio nazionale, in coerenza con la legge 328/2000 e le più recenti disposizioni legislative (tra cui le leggi di bilancio 2021- 2023 e il decreto legislativo 29/2024). «Una linea guida, nella cultura dei servizi sociali, è una specie di accompagno, ma non nel decidere – argomenta Tiziano Vecchiato, presidente della Fondazione Emanuela Zancan – ma nel capire il senso politico, strategico, professionale di questa operazione, di cosa significa passare da una gestione di circa 7.900 Comuni a più o meno 600 Ats. È poco consueto per un ministero un’operazione del genere, non può dire “è meglio far così”, perché c’è il problema tra titolarità e gestione: per il sociale la titolarità istituzionale appartiene ai Comuni. Per questo il testo è volutamente prudente nel proporre scelte possibili, per non influenzarle, aiutando gli amministratori a capire di cosa si sta parlando e a non confondere i mezzi (le scelte degli assetti gestionali) con i fini (i servizi e gli aiuti efficaci per le persone, le famiglie, le comunità territoriali). Le linee guida specificano la differenza tra titolarità politiche e responsabilità gestionali, evidenziando i gradi di libertà delle scelte in un quadro di uniforme tutela nazionale dei diritti e doveri sociali». All’interno di questo quadro, le Regioni assumono un ruolo di regia: definiscono gli Ats, promuovono la gestione associata, coordinano l’attuazione e ne monitorano l’efficacia. I Comuni, invece, sono il motore attuativo del sistema: titolari delle funzioni sociali, progettano ed erogano i servizi, gestiscono le risorse e partecipano alla governance degli stessi ambiti. Questo è quanto sta succedendo, a differenti velocità, sul territorio nazionale: il Veneto, con la legge regionale 9/2024 aveva avviato il riordino del sistema, istituendo formalmente 21 Ats (corrispondenti, di fatto alle ex 21 Aziende Ulss), salvo poi portarle a 24 con un importante aggiornamento dello scorso aprile. Sul piano dei servizi, il documento ministeriale sottolinea la necessità di standard omogenei per garantire i Leps dal servizio sociale professionale (un assistente sociale ogni cinquemila abitanti, con un obiettivo di servizio pari a uno ogni quattromila abitanti e incentivi all’assunzione a tempo indeterminato, con contributi dedicati, soprattutto nei Comuni sotto organico con meno di un assistente sociale ogni 6.500 abitanti) al pronto intervento sociale, alle dimissioni protette, ai servizi per minori e disabili. Viene rimarcata anche l’importanza dei Punti unici di accesso (Pua) e delle Unità di valutazione multidimensionale (Uvm). Altro aspetto delicato, emerso in questi mesi di “creazione” riguarda i diversi modelli giuridici e organizzativi degli Ats. Il decreto legislativo del 18 agosto 2000, il numero 267, ne considera sei, tra forme associative ed enti strumentali: la convenzione, l’unione di Comuni, la comunità montana, il consorzio, l’istituzione, l’azienda speciale consortile. Il decreto legislativo 207 del 4 maggio 2001 considera anche l’azienda pubblica di servizi alla persona. È un punto nevralgico, questo, perché ogni modello ha peculiarità in termini di autonomia, governance, assetti operativi, ma è a discrezione dei singoli scegliere la forma più idonea: «Di fatto, però, i modelli raccomandati sono due, il consorzio e l’azienda speciale consortile – sintetizza Vecchiato – Però questo è il contenitore istituzionale, giuridico, la gestione è un’altra cosa: in Veneto abbiamo le aziende sanitarie che non funzionano allo stesso modo pur avendo la stessa forma giuridica, perché dipende dalle strategie, dalla gestione quotidiana. Insomma, non è la forma giuridica che ti risolve il problema, la partita la vinci dando risposte ai soggetti deboli, alle famiglie, devi avere i servizi capaci di gestire l’età evolutiva, le famiglie, le disabilità, gli anziani. La forma giuridica, di per sé, non dice molto». Non si tratta, dunque, solo di un riassetto tecnico, ma di una rivoluzione culturale e amministrativa: superare le frammentazioni storiche, rafforzare la collaborazione, garantire che ogni cittadino – indipendentemente dal luogo in cui vive – abbia accesso a servizi sociali di qualità. E tutto questo sarà realtà a partire dalla primavera 2026.
Cisl Veneto accoglie con soddisfazione l’adozione delle linee guida nazionali per l’organizzazione degli Ats, che confermano un principio sostenuto dal sindacato sin dall’inizio: i lavoratori degli Ats devono conservare lo status giuridico di dipendenti pubblici. «Come Cisl abbiamo già indicato ai Comuni e ai Comitati di ambito che la forma dell’azienda speciale consortile a scopo non economico rappresenta la soluzione più efficace per garantire la natura pubblica del servizio e dei rapporti di lavoro – ribadisce Massimiliano Paglini, segretario generale di Cisl Veneto – Le linee guida confermano la correttezza di questa indicazione. Continueremo a vigilare e a sostenere l’attuazione della riforma in ogni territorio, affinché non si perda altro tempo e si garantisca un sistema sociale più giusto, stabile e vicino ai bisogni dei cittadini». Il decreto ministeriale chiarisce, infatti, che «al personale delle aziende speciali consortili si applicano le disposizioni del decreto legislativo 165/2001». Secondo Cisl Veneto «proprio l’incertezza sulla forma giuridica e sul trattamento contrattuale del personale ha rallentato il processo di costituzione delle Ats in molti territori».
Se gli Ats saranno realtà fra un anno, molto è dovuto ai vincoli del Pnrr: «Culturalmente c’è una storica resistenza – ricorda Vecchiato – perché è dal 1977, nel quadro di trasferimento di funzioni amministrative dello Stato alle Regioni e agli enti locali, che in Italia avremmo dovuto avere gli Ats. Se non avessimo avuto la scadenza se ne sarebbe parlato tra 25 anni».