Idee
Negli ultimi anni la Chiesa ha riscoperto con forza la bellezza dei ministeri battesimali, quei servizi nati dal dono del battesimo e non dal sacramento dell’ordine sacro. Lettori, accoliti, catechisti, animatori della liturgia, operatori della carità, accompagnatori di famiglie e giovani: tutti sono chiamati a rendere visibile la corresponsabilità dei fedeli nella vita della comunità cristiana. È un segno dei tempi e un frutto del Concilio Vaticano II, che ha ricordato come «tutto il Popolo di Dio partecipa alla missione di Cristo».
Eppure, proprio dentro questo cammino di apertura e di corresponsabilità, si nasconde un rischio sottile: il clericalismo dei laici. Quando un ministero diventa titolo, distinzione, o peggio ancora potere, si tradisce la sua radice evangelica. I ministeri battesimali non nascono per “avvicinare” i laici al clero, ma per radicarli più profondamente nella loro vocazione laicale. Il loro senso non è “fare come i preti”, ma servire come Cristo.
Il clericalismo si manifesta quando il servizio diventa occupazione stabile del proprio spazio, quando si confonde la missione con un ruolo da difendere, o quando il riconoscimento pubblico pesa più del cuore orante e discreto. È una tentazione antica: trasformare il dono in privilegio, l’umiltà in appartenenza, la comunità in struttura.
I ministeri battesimali, invece, hanno il compito di decentrarci: ci ricordano che la Chiesa vive di carismi diversi, che nessuno basta a sé stesso e che ogni servizio è a tempo, affidato per edificare e non per affermare. Il lettore proclama la Parola non perché “ha diritto di farlo”, ma perché la Parola lo ha toccato. Il catechista accompagna non perché “ne sa di più”, ma perché vuole camminare insieme. L’accolito serve all’altare non per “sentirsi vicino al sacerdote”, ma per ricordare che ogni liturgia è servizio reciproco.
Solo così i ministeri battesimali diventano una scuola di libertà e di comunione, non di potere o di rivalità. Papa Francesco ha più volte ammonito: «Il clericalismo è una tentazione costante. Nasce quando dimentichiamo che il vero potere nella Chiesa è il servizio». Per questo, la formazione dei ministri istituiti e di quanti svolgono compiti ecclesiali non può limitarsi a istruzioni tecniche, ma deve essere un cammino spirituale, capace di custodire il cuore del Vangelo: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27). Solo una Chiesa che vive i ministeri come dono, e non come status, potrà essere davvero popolo di Dio in cammino.