“Il divario fra Nord e Sud verrà colmato solo nel 2020”. Questo è il titolo apparso sulle colonne del Corriere della Sera il 13 settembre 1972. Cinquant’anni fa un grande meridionalista cattolico come Pasquale Saraceno, dolendosene, si sbilanciava in questa amara previsione. Sono dunque trascorsi 50 anni da quel titolo comparso sulle colonne del Corrierone, ma la questione meridionale, nel frattempo quasi scomparsa dai radar dell’informazione e della politica, ha mutato volto e dimensioni continuando a interrogarci.
La guerra che si combatte nel cuore dell’Europa è pressoché scomparsa dalle prime pagine dei quotidiani e relegata in quelle interne. Così come nei grandi tg nazionali occupa talvolta il quarto o quinto titolo di lancio. E spesso neppure quello. Scelte analoghe fanno le radio nazionali. Per non parlare dei social, quasi indifferenti al conflitto. La crisi del governo Draghi, le elezioni anticipate a settembre e l’orribile scia di una cronaca nera senza precedenti hanno preso il sopravvento e conquistato spazio nei titoli principali
Se mai esistesse un termometro dell’odio, segnalerebbe un febbrone. In questi anni più volte abbiamo ascoltato la giustissima denuncia delle "parole d’odio" che circolavano nella nostra società. Parole durissime e sconvenienti, talvolta volgari e certamente irrispettose rivolte verso persone considerate “diverse”. Ma sembra già una storia di ieri, figlia di un tempo già consumato, anche se il problema non è stato ancora rimosso e la questione educativa sollevata non abbia ancora trovato uno sbocco realmente positivo
Nei giorni difficili del Covid, dinanzi all’irrompere di un virus che ci stava cambiando letteralmente la vita, al punto da costringerci a un durissimo lockdown, ci siamo interrogati sul futuro. Proprio in quelle ore d’angoscia, dal profondo delle nostre coscienze venne un sussulto che ci spinse a guardare al domani, complice anche la fiducia nella scienza e nella medicina, come un tempo in cui ci saremmo ritrovati migliori: “Nulla sarà come prima”. Questa frase, divenuta popolarissima nei primi mesi della pandemia, è valida anche oggi, mentre si consuma nel cuore dell’Europa l’aggressione russa al popolo ucraino?
Prepotente e violenta, l’ideologia è tornata ad avvelenare i pozzi della Storia e i giorni di vita degli europei. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin il prodotto più efferato di una ideologia costruita negli ultimi 15 anni del nuovo secolo, dopo la grande illusione che tutti avevamo condiviso: l’abbandono definitivo delle ideologie del secolo scorso che avevano trovato una sintesi immaginifica nel crollo del Muro di Berlino, nell’ormai lontanissimo 1989. Trent’anni dopo scopriamo che l’ideologia è tutt’altro che morta e che si ripresenta, sotto nuove vesti, nel secolo nuovo. Con il rischio, più che mai reale, che alle idee sbagliate seguano scelte catastrofiche.
Due anni di vita sconvolti dal Covid, nella speranza che esca definitivamente dalle nostre esistenze e noi tutti si possa tornare allo scorrere dei giorni. Magari noioso, ma senza l’incubo che ci ha perseguitato. Questi due anni, è bene ricordarlo, hanno un peso specifico diverso a seconda delle età. È certamente così per chi di anni ne ha ben 81 o solo 18. Per non parlare dei bambini di 4 o 5 anni, cioè dell’età in cui i ricordi cominciano a consolidarsi.
Cresce l’impronta femminile sulle istituzioni europee. Con l’elezione di Roberta Metsola alla guida dell’assemblea di Strasburgo, si rafforza la presenza femminile ai massimi livelli istituzionali. Insieme a Ursula Von der Leyen (presidente della Commissione europea) e Christine Lagarde (presidente della Banca centrale europea) formano un trio dai grandi poteri e dalle altrettanto gravose responsabilità. C’è un filo rosso che unisce queste tre donne: la loro esperienza squisitamente politica esercitata sulla scena dei Paesi di provenienza.
Al di là di tanti paradossi presenti in questo film sarcasticamente visionario e ironicamente distopico, ora forse conosciamo l’incubo che dobbiamo evitare: essere governati da un presidente folle e corrotto, essere disinformati da giornalisti ridotti a clown, venderci come schiavi ai magnati del digitale, restare vittime della nostra ignoranza. Quattro condizioni impossibili? E chi può dirlo? Ne basterebbe già una sola per addensare nubi scure… Dunque, aprire gli occhi e alzare lo sguardo non è mai troppo tardi
La battaglia tra il vero e il falso non conosce tregua. E il campo di battaglia più cruento e insidioso è quello dei social media che hanno soppiantato, nell’industria della comunicazione, tanto la carta stampata quanto la televisione. Questa la notizia più allarmante contenuta nel Digital News Report 2021 di Reuters condotto in 46 Paesi, tra cui l'Italia. Stando al rapporto, la maggiore fonte di preoccupazione è costituita da Facebook (29%). Ma ancor più preoccupanti sono le fonti di disinformazione indicate dagli utenti e che inondano i social media. Il vertice di questa classifica negativa è occupato dai politici nazionali con addirittura il 40% di segnalazioni. Ma non sono da meno gli attivisti (14%), i giornalisti e le persone comuni (entrambi al 13%) e infine i governi stranieri (10%)