Beirut, cinque anni dopo. La ferita dell’esplosione e l’attesa di verità
Cinque anni dopo la devastante esplosione nel porto di Beirut, il Libano resta in attesa di giustizia. Le indagini procedono tra ostacoli, silenzi e nuove aperture. Familiari delle vittime, ong e comunità internazionale chiedono trasparenza e responsabilità
Sono passati cinque anni da quando, il 4 agosto 2020, un’esplosione gigantesca ha trasformato il porto di Beirut in un cratere fumante, travolgendo la città in un attimo. È stata la più potente detonazione non nucleare mai registrata: almeno 236 vittime – 245 secondo altre stime –, oltre 7.000 feriti e interi quartieri ridotti in polvere. Da allora, il Libano vive sospeso tra il bisogno di verità e l’incapacità delle sue istituzioni di offrirla.
All’inizio del 2025, il ministro della Giustizia Adel Nassar ha cercato di riattivare un’inchiesta bloccata da troppo tempo, riaffidandone la guida al giudice istruttore Tarek Bitar. Le indagini, ripartite in febbraio dopo anni di interruzioni e pressioni, si muovono in un labirinto istituzionale segnato da ricorsi, resistenze e silenzi. Le richieste di cooperazione inviate a Paesi europei e arabi sono rimaste senza risposta; una cinquantina di cause intentate contro Bitar – di cui trenta ancora in corso – ne ha ostacolato il lavoro. Tra i principali oppositori figura l’ex procuratore dello Stato Ghassan Oueidat, anch’egli indagato, che si rifiuta di comparire. Al contrario, il suo successore ad interim, Jamal Hajjar, ha mostrato maggiore disponibilità.
Per la prima volta, alcune figure chiave hanno accettato di essere ascoltate: l’ex primo ministro Hassan Diab e i generali Abbas Ibrahim e Tony Saliba si sono presentati agli interrogatori. Ostinatamente assenti restano invece Oueidat e i parlamentari Ali Hassan Khalil e Ghazi Zeaiter, che continuano a rifiutare ogni convocazione. A complicare ulteriormente il quadro contribuisce la lentezza della Procura presso la Corte di Cassazione, che deve ancora esaminare il fascicolo prima di un eventuale trasferimento al Consiglio giudiziario.
Il ministro Nassar ha ribadito più volte che la posta in gioco non è solo la rapidità del procedimento, ma la credibilità dello Stato stesso:
“Uno Stato che non si assume le proprie responsabilità non può dirsi davvero tale”.
Intanto sono stati riattivati i contatti con la magistratura francese, impegnata in un’indagine parallela per la presenza di vittime francesi tra le persone coinvolte nell’esplosione.
Sul versante umano, la ferita è tutt’altro che rimarginata. Le famiglie delle vittime denunciano un’assenza di giustizia che si rinnova ogni giorno. Amnesty International e Human Rights Watch continuano a sollecitare le autorità libanesi perché collaborino pienamente nella ricostruzione della catena delle responsabilità e facciano chiarezza su eventuali omissioni o comportamenti criminali che potrebbero aver contribuito alla tragedia.