Il cambiamento epocale era già nei fatti: il primo turno delle elezioni presidenziali in Bolivia aveva segnato la fine di quasi vent’anni di egemonia politica della sinistra, esclusa dal ballottaggio dopo essersi clamorosamente spaccata tra il leader storico, Evo Morales, e il presidente uscente, Luis Arce. I boliviani, però, al secondo turno di domenica 19 ottobre, hanno scelto un cambiamento “soft”, meno traumatico rispetto all’alternativa più “muscolare”. Il nuovo presidente è infatti il senatore centrista Rodrigo Paz Pereira, del Partito cristiano-democratico, già in testa dopo il primo turno, che, secondo lo scrutinio rapido, ha vinto il ballottaggio con il 54,61% dei voti contro il 45,39% dell’ex presidente conservatore Jorge “Tuto” Quiroga. Paz aveva sorpreso già al primo turno, ottenendo circa il 32% dei consensi e incassando subito l’appoggio del terzo classificato, Samuel Doria Medina. La strada per lui sembrava in discesa, ma i sondaggi delle ultime settimane avevano indicato una rimonta di Quiroga che, però, non si è concretizzata. Particolarmente netta la vittoria di Paz nelle località dell’altipiano, come La Paz e Cochabamba, mentre Quiroga si è imposto a Santa Cruz de la Sierra. Un dato rilevante, poiché il maggiore contributo alla vittoria di Paz è venuto proprio dai tradizionali feudi della sinistra. I milioni di elettori del Mas, il partito socialista, non sono scomparsi: a differenza del primo turno, Morales non aveva invitato all’astensione o all’annullamento del voto. Va anche sottolineato che le operazioni di voto si sono svolte in modo pacifico.
Rodrigo Paz e l’incognita Morales
Paz, nelle sue prime dichiarazioni, ha promesso di “riaprire” il Paese al mondo. Su di lui, le attese di una nazione stretta nella morsa della povertà, dell’inflazione e della crisi energetica. Uomo di centro, anche se sarebbe improprio definirlo – nonostante il nome del partito – “democristiano”, è emerso come figura popolare nel sud del Paese, percepito come outsider, pur essendo figlio di Jaime Paz Zamora, primo vicepresidente della Bolivia dopo il ritorno della democrazia, negli anni Ottanta. Come accennato, il cambiamento era nell’aria, ma appare oggi meno traumatico rispetto a quanto sarebbe accaduto in caso di vittoria di Quiroga. Resta da capire che atteggiamento terrà il nuovo presidente nei confronti di Morales, che vive ormai asserragliato nel suo feudo, il distretto “cocalero” del Chapare, protetto da guardie personali per evitare l’arresto, essendo accusato di tratta di minori e violenza su una minorenne. “Se vince Quiroga andrà a stanare Evo, se vince Paz, probabilmente questo non avverrà”, confidava pochi giorni fa una fonte ecclesiale boliviana. Una politica muscolare rischierebbe infatti di provocare nuovi scontri di piazza, che la popolazione non è più disposta a sopportare.
L’appello dei vescovi: “Non tradite la fiducia del popolo”
Una volta concluso lo scrutinio rapido, è intervenuta anche la Conferenza episcopale boliviana (Ceb), con un messaggio diffuso nella giornata di ieri. “Come boliviani – si legge nella nota –, abbiamo vissuto una giornata democratica pacifica, con una buona partecipazione civica, esercitando il nostro diritto di voto e mostrando l’impegno che ci unisce come Paese, fondato sulla solidarietà e la convivenza pacifica. Questa partecipazione esprime la speranza di tutti: che arrivino giorni migliori per la Bolivia”. I vescovi riconoscono che “le sfide sono grandi” e confidano che “il nuovo Governo eletto saprà affrontarle, dando priorità al benessere di tutti i boliviani. Tra queste, l’attenzione alle famiglie che vivono in situazione di povertà, il miglioramento dell’accesso alla salute e ai medicinali, l’istruzione, l’attenzione preferenziale ai settori più vulnerabili, così come l’approvvigionamento di carburanti e la riattivazione economica”. La Ceb lancia anche un appello a tutti gli attori politici e sociali affinché “accettino con serenità i risultati del processo elettorale, rispettando la decisione sovrana del popolo boliviano, per lavorare uniti per il bene del Paese. A coloro che sono stati eletti, ricordiamo che il loro mandato deve essere esercitato con etica, trasparenza e spirito di servizio, anteponendo sempre il bene comune agli interessi personali o partitici. Non tradite la fiducia che il popolo ha riposto in voi”. I vescovi concludono esortando “tutto il popolo boliviano a impegnarsi nella costruzione di un domani diverso, mantenendo viva la speranza e l’impegno nella costruzione di giorni migliori per la Bolivia, rispettandoci reciprocamente e riaffermando il dialogo come cammino di ricongiungimento e sviluppo, per portare avanti la nostra economia”.
L’analisi della Fondazione Jubileo: “Servono risposte rapide alla crisi economica”
Una lettura del voto boliviano viene offerta al Sir da Juan Carlos Núñez, direttore della Fondazione Jubileo, organismo legato alla Conferenza episcopale boliviana, che ha partecipato al processo elettorale anche in qualità di osservatore. “La considerazione di fondo – afferma – è che la crisi economica è terribile. La gente si aspetta risposte rapide ed effettive. I sondaggi della vigilia davano per vincente Quiroga, ma la Bolivia è un Paese molto frastagliato, pieno di zone rurali il cui parere non viene intercettato dalle inchieste. Inoltre, si sapeva che c’erano molti indecisi. Tantissimi elettori si formano un’opinione attraverso i social network, ma nel Paese esiste anche una logica corporativa molto forte: pesa ancora molto il passaparola all’interno di categorie, gruppi e associazioni. In quest’ottica, va letto un travaso di voti dal Mas al nuovo presidente Rodrigo Paz”. Secondo il sociologo, il vincitore ha saputo intercettare i cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, come ad esempio il consenso di ceti ex agrari ora attivi nella piccola impresa o nei servizi. Quiroga, invece, ha puntato sui tradizionali imprenditori agrari di Santa Cruz de la Sierra. “È comprensibile che per molti elettori del Mas la scelta di Paz sia stata la più vicina a loro”, osserva. Ora, però, si apre una difficile fase di governabilità. “Le prime risposte – conclude Núñez – devono arrivare entro novanta giorni, altrimenti le piazze potrebbero tornare a riempirsi ed Evo Morales potrebbe nuovamente provare ad alimentare la protesta. Speriamo che il nuovo presidente apra un tavolo di dialogo con i maggiori attori sociali. Ma governare non sarà facile, a partire dall’economia, rispetto alla quale ci sono sfide immediate come l’energia – poiché la Bolivia è costretta a importare gran parte del carburante – e il valore della moneta, che continua a deprezzarsi rispetto al dollaro, insieme al debito pubblico”.