Storie
Un viaggio alla scoperta dei tanti volti del Brasile, il più vasto stato dell’America latina. E, insieme, un pellegrinaggio in luoghi dove l’umano e il divino si saldano in vincoli tenaci, come i due fiumi Rio Negro e Rio Solimoes che, nei pressi di Manaus nello stato di Amazonas, scorrono affiancati con le loro acque dai colori visibilmente diversi, per poi congiungersi, perdendosi uniti, nell’unico Rio delle Amazzoni.
I differenti Brasile – che don Fernando Fiscon ha voluto far assaggiare ai suoi compagni pellegrini di speranza nel viaggio che si è tenuto dal 19 luglio al 21 agosto – assomigliano ai cibi che non mancano mai nelle case del Paese: riso, fagioli, manioca, banana, e la carne quando si può. Il tutto mescolato in un’unica portata e su di un unico piatto.
Così gli Stati attraversati, le grandi aree del nord, centro-ovest e sud-est, presentano panorami e ambienti diversificati – foresta, piantagioni, acquitrini, terra rossa, metropoli – ciascuno legato a particolari problematiche socio-economiche e condizioni di vita. Di ognuno si è vista la risposta che la Chiesa tenta di offrire, per migliorare la situazione esistente e suscitare il desiderio di riscatto tra le persone. In primis la Chiesa di Padova, in sinergia con quella del Triveneto e collaborando con la locale, grazie al prezioso operato dei responsabili delle comunità: religiosi, laici e coppie sposate tra tutti.
E ben oltre l’innata capacità di accogliere, la cordialità e il calore con cui i brasiliani ricevono gli ospiti e di cui ricolmano i missionari diocesani – per non dimenticare nessuno e fare torti, qui li ricordiamo insieme, dal più giovane e quasi diacono Filippo Friso al più conosciuto, il vescovo mons. Lucio Nicoletto – oltre all’amore e alla riconoscenza per il “loro” martire, padre Ezechiele Ramin, e per il “loro” pastore,
don Ruggero Ruvoletto, si presentano concreti e visibili ancor oggi, a distanza di molti anni dal loro dono della vita a questo popolo.
Tracce del passaggio del comboniano padre Ramin si trovano in più luoghi a Cacoal, nello Stato di Rondonia dove ha vissuto, come a Rondolandia, in Mato Grosso, Stato in cui è stato ucciso: busti, ritratti, un centro di formazione professionale. Un pellegrinaggio in suo ricordo a Rondolandia richiama ogni anno, nella ricorrenza dell’assassinio, migliaia di persone: in questo 2025, domenica 27 luglio, erano circa tremila sotto un sole cocente e tra la polvere della terra riarsa. Nella cappella, costruita nei pressi del luogo dell’agguato, è stata appesa la targa commemorativa del Comune di Padova, portata per l’occasione del 40° anniversario della morte dall’assessora Francesca Benciolini, partecipante al pellegrinaggio. E ancora: la scuola agraria che porta il suo nome, fondata nel 1988, è un punto aggregante per la comunità di Cacoal e molto amata dalla famiglia Ramin perché da subito è stata inclusiva, accogliendo tra gli studenti – che alternano settimane di permanenza a scuola a settimane di rientro in famiglia, durante le quali possono aiutare nel lavoro nei campi grazie alle competenze scolastiche maturate – anche giovani indigeni.
Per la causa dei nativi, da sempre relegati ai margini della società, e dei piccoli proprietari di terra, rimasti sem terra (senza terra) a causa delle grandi fazendas e poi delle multinazionali, il comboniano padovano si è sempre battuto; e per questo viene ricordato, insieme ad altri “martiri per la terra” del Sud America, nel santuario giubilare dei Martiri da caminhada, a Ribeirao Cascalheira. Un tempio che è stato un luogo molto significativo anche nella vita di dom Pedro Casaldaliga, vescovo difensore dei diritti dei popoli amazzonici, poeta e letterato tra i fondatori della Teologia della liberazione, di cui si è visitata la casa, l’essenziale cappella, la tomba. L’agrobusiness contro cui dom Casaldaliga ha preso nette posizioni ancor oggi si pone come un problema fondamentale per l’economia e la società del Paese; terre che spetterebbero alle popolazioni indigene (per cui i fidei donum padovani hanno attivato una pastorale dedicata) vengono sottratte per fare spazio a immense piantagioni, che tagliano alberi e stravolgono l’ecologia naturale. Unito a ciò, si sta imponendo, soprattutto nelle regioni settentrionali, il tema dei garimpeiros, i cercatori di oro e minerali preziosi, che provocano danni alle falde acquifere e i cui contingenti aumentano a causa degli emigrati dal Venezuela.
A Boa Vista, nello stato di Roraima, vi è il confine tra Brasile e Venezuela. File di giovani migranti, ordinati e pazienti, si formano in attesa di attraversare la frontiera brasiliana ed essere ricevuti dall’esercito e dalla Caritas, per le visite mediche e il sostentamento necessari. È molto accogliente il Brasile con queste persone che fuggono dalla dittatura di Nicolas Maduro. I venezuelani possono appoggiarsi agli uffici della “Casa da caridade papa Francisco” per preparare i documenti utili per ottenere il permesso di soggiorno; poi lo stato provvederà al loro viaggio in altre aree del Paese, affinché possano raggiungere parenti e conoscenti. Molti, per gratitudine, si fermano qui e aiutano le suore nella manutenzione della Casa, gestendo corsi di lingua, di educazione civica o professionali. Di certo, negli ultimi anni il numero di chi fugge dalla povertà e dal regime è molto aumentato: lo spagnolo, a Boa Vista, si parla quasi quanto il portoghese… Nelle zone più interne della città, a volte basta svoltare l’angolo della strada principale, è però facile imbattersi nelle povertà delle favelas: case fatiscenti, fogne a cielo aperto, sporcizia e rifiuti. Perché non a tutti le cose vanno bene. Bambini giocano con gli aquiloni accanto a ragazzi poco più grandi che leccano sostanze, fanciulle che forse non hanno ancora raggiunto la pubertà attendono qualcuno sulla soglia di casa. Le povertà di Boa Vista, come quelle di Rio de Janeiro e di Manaus, si stagliano chiaramente sotto l’azzurro del cielo. A Manaus chi ha lavorato con don Ruggero Ruvoletto, che ha operato per dare ai giovani possibilità di vita migliore, non dimentica. «Il vostro dolore è il nostro dolore» ci è stato detto, ricordando la sua perdita. Ogni anno in città viene organizzata una marcia della pace, come aveva cominciato a fare lui quando era in vita: per portare avanti i suoi progetti, il suo spirito di comunità, di grande famiglia aperta a tutti. A quasi sedici anni dalla sua morte, il suo sorriso e il suo «noi ci siamo» impregnano ancora l’aria della casa in cui ha spalancato le porte, rendendole sante. Anticipando, quasi profeticamente, l’augurio e la raccomandazione di papa Francesco per questo Giubileo della speranza: diventare porte sante ovunque si vada.
«Pellegrini di speranza sulle orme di padre Ezechiele Ramin, don Ruggero Ruvoletto e delle molte persone e comunità missionarie che hanno scelto di stare dalla parte dei poveri, degli sfruttati e degli scartati». Con questo proposito e tanta volontà di mettersi in gioco, 34 pellegrini dai 30 ai 70 anni e più, provenienti da diverse aree della Diocesi di Padova, dal 19 luglio al 21 agosto hanno viaggiato attraverso vari Stati del Brasile, accolti dai missionari fidei donum padovani o del Triveneto presenti in loco e sotto la guida di don Fernando Fiscon, anch’egli per 13 anni fidei donum nel Paese sudamericano e oggi parroco a Codiverno e Pionca.
Il pellegrinaggio ha coinciso con tre ricorrenze, che ne hanno segnato il percorso: l’anno giubilare dedicato alla speranza, il 40° anniversario dell’assassinio di padre Ezechiele Ramin (24 luglio 1985), il 15° anniversario dell’uccisione a Manaus, in Amazzonia, di don Ruggero Ruvoletto (19 settembre 2009).