Storie
Calicanto. Un viaggio lungo 40 anni alle radici della musica popolare
I Calicanto hanno iniziato a riscoprire la musica folk veneta negli anni Ottanta, quando se ne stava perdendo la memoria. E non si sono più fermati
StorieI Calicanto hanno iniziato a riscoprire la musica folk veneta negli anni Ottanta, quando se ne stava perdendo la memoria. E non si sono più fermati
Quarant’anni di Calicanto. I festeggiamenti erano cominciati lo scorso settembre, ma sono stati subito interrotti, per motivi legati alla pandemia. Tanti progetti, eventi, concerti, anche una mostra di strumenti musicali, che poi sono stati per forza ridimensionati. Ma questa è una storia che merita di essere raccontata e a ripercorrerla è il fondatore del gruppo, Roberto Tombesi.
«Siamo partiti nel 1981, quando parlare di musica popolare veneta suonava strano. Eppure c’erano altri Paesi, come la Spagna o l’Irlanda, dove questo genere si era già affermato. In Italia invece, a parte qualche regione del Sud, la Val d’Aosta e il Friuli, non c’era nulla. Qui in Veneto la musica popolare era rimasta legata alla tradizione del canto di montagna, e quindi alla guerra. Erano canti di sofferenza, di lavoro, di immigrazione, cose che si preferiva rimuovere come la fame e la pellagra. Bisognava guardare al futuro, al progresso, anche in modo acritico. Il Veneto era la locomotiva d’Italia e si è finito per buttare via il bambino con l’acqua sporca».
Come siete partiti?
«All’inizio degli anni Ottanta venivamo tutti da esperienze diverse: dal rock, dalla musica classica, dal jazz. Per me iniziare questa esperienza ha significato fare qualcosa che avesse un senso per il territorio. Al ritorno da un viaggio in Scozia e in Irlanda abbiamo cominciato a cercare le radici della nostra musica popolare. Abbiamo scoperto canti religiosi e danze: la manfrina, per esempio, è un ballo di comunità, un po’ come la pizzica, piuttosto ripetitivo. Per questo è diventato un modo di dire».
Che metodo vi siete dati?
«Inizialmente abbiamo scelto di fare un lavoro di ricerca originale, anche se sul momento rendeva meno. Andavamo a cercare gli ultimi anziani che ancora si ricordavano vecchie canzoni, li ascoltavamo e registravamo. Per noi è stato un lavoro molto interessante. Poi abbiamo voluto rivitalizzare quel poco che siamo riusciti a salvare: canti di lavoro, della spannocchiatura, quelli di San Martino. Alcuni canti erano legati a determinate occasioni, c’erano delle ritualità che andavano rispettate, capite e valorizzate. Con questa seconda fase abbiamo voluto riportare questi canti nella quotidianità. In quel periodo nasceva la riscoperta della danza popolare come danza di collettività: è nata così l’operazione di riportare le cose che avevamo imparato, dandogli una veste nuova. Anche attraverso la ricostruzione degli strumenti ha preso forma il nostro suono, il suono dei Calicanto, legato alla tradizione, ma anche immerso nella contemporaneità».
Qual è stata la scelta degli strumenti?
«La piva per esempio, un’antica cornamusa veneto-emiliana, della quale avevamo testimonianze soltanto nei quadri, come Cima da Conegliano o Giorgione. Massimo Fumagalli ne ricostruì una, basandosi prevalentemente su un affresco nella casa del Giorgione a Castelfranco Veneto. O l’organetto, un antenato della fisarmonica, uno strumento della contemporaneità, noto anche grazie ad Astor Piazzolla che ne ha decretato il successo con il suo bandoneón. Oppure ancora, l’ocarina».
Nelle vostre ricerche musicali avete spaziato al di là del Veneto in senso stretto, con un’attenzione particolare per l’altra sponda dell’Adriatico. Perché questa scelta?
«Abbiamo sempre interpretato la cultura veneta con un piede in laguna e uno sulle Alpi. Uno fortemente radicato nel Mediterraneo, lì dove si spingeva Venezia: Turchia, Grecia, Creta. E c’è anche una parte più Mitteleuropea, legata alla montagna. Al Cadore, per esempio, scoprendo molte danze dolomitiche».
Ne sono nate canzoni, spettacoli teatrali, collaborazioni con altri gruppi e orchestre. Tanti suoni e altrettante influenze. E chissà quante ne nasceranno ancora.
La formazione attuale dei Calicanto si compone di sei elementi, due dei quali sotto i 30 anni: sono Alessandro Tombesi (arpa e melodica) e il batterista Alessandro Arcolin, che viene dal rock. Gli altri componenti sono Claudia Ferronato (voce e percussioni), Roberto Tombesi (organetto, mandola, ludro, voce), Giancarlo Tombesi (contrabbasso) e Francesco Ganassin (clarinetti).
Da quando Roberto e Giancarlo Tombesi fondarono i Calicanto, 40 anni fa, il gruppo ha sempre cercato un suono e uno stile unici, sintesi tra lo studio e la rivitalizzazione del canto popolare. Un percorso che si è espresso attraverso migliaia di concerti e rappresentazioni teatrali, oltre 15 dischi, film, libri, stage, seminari, mostre e performance in Italia e all’estero. Nel 1983 il primo album, frutto delle ricerche sul campo anche con il contributo di Marina Dalla Valle e Guglielmo Pinna e la prima tournée, in Belgio. E poi in Spagna, Svizzera ed ex Jugoslavia e la partecipazione a diversi festival europei. Nel luglio del 1989 muore in un incidente stradale il violinista Riccardo Sandini, lasciando un vuoto incolmabile.
Nel 1991, per i dieci anni di attività del gruppo esce il disco antologico “Diese”. Seguono anni di intensa attività concertistica in Italia, nella francese Vandea, Andalusia, Castiglia, Ticino, Galles, Austria, Portogallo, Croazia.
Nel 1997 i Calicanto entrano a far parte dell’etichetta discografica Compagnia Nuove Indye, con il cd “Venexia” e nello stesso anno partecipano allo spettacolo Transitalia per la regia di Moni Ovadia che apre una fase di proficue collaborazioni con il cinema e il teatro. Proseguono le ricerche storiche particolarmente tra le comunità venete e italiane di Istria e Dalmazia. Per i suoi vent’anni, il gruppo dà vita al progetto Labirintomare, con il coinvolgimento di oltre 25 artisti e la pubblicazione dell’omonimo album. La ricerca prosegue rivolta anche al territorio dei Colli Euganei: nel 2007 prende vita un progetto proposto dal compositore Carlo De Pirro, basato sul dialogo tra la musica popolare dei Calicanto e quella classica dell’orchestra classica Filarmonia Veneta. Dopo la scomparsa del maestro De Pirro, il progetto viene portato a termine dal compositore Gian-Luca Baldi: il risultato è S-confini Mediterranei che raccoglie 27 anni di attività dei Calicanto e di ricerche tra ambiente lagunare, istro-dalmata e delta del Po, con brani nuovi.
Dal 2008 i Calicanto portano in scena lo spettacolo musicale e teatrale La magnifica intrapresa, con l’attrice Laura Curin, su testo di Paolo Domenico Malvinni, per la regia di Titino Carrara, che racconta la vicenda narrata nel brano Galeas par montes, ambientata nel XV secolo. Brescia, alleata della Serenissima, è assediata dall’esercito milanese e Venezia corre in suo soccorso su idea dello scaltro Gattamelata: la flotta veneziana raggiunge Verona risalendo l’Adige controcorrente e prosegue fino a Mori. Qui le navi vengono tirate in secca e cominciano a “navegar per monti”, superando passi e dirupi fino ad arrivare a Torbole, conquistare il lago di Garda e portare soccorso a Brescia. Le parole del brano recitano: «Venezia, gli uomini e le navi/a navegare proprio qui in mezzo al bosco./ Galeas per montes,/alberi tra gli alberi e vele tra le foglie».