Oltre le sbarre e dietro alte mura, dove il tempo sembra sospeso, anche lì la vita può rifiorire, rinascere. Alcune di queste voci sono risuonate il 23 maggio nella Casa di reclusione Due Palazzi di Padova, in occasione della giornata di riflessioni e testimonianze organizzata dalla redazione di Ristretti orizzonti, realtà impegnata a raccontare il punto di vista delle persone detenute e di chi lavora nel mondo penitenziario. Nell’incontro si è parlato di conflitti, della rabbia, delle parole che feriscono, e di come fermare l’innesco prima che sia troppo tardi, con una convinzione chiara: disinnescare (era il tema centrale) è un atto di coraggio, di chi ha la forza di guardarsi dentro. E di risalire. «C’è da chiedersi se alla base dei conflitti non ci sia una diffusa incapacità di stare con se stessi e di conseguenza con l’altro – ha introdotto l’argomento la neo-direttrice della Casa di reclusione, Maria Gabriella Lusi – L’ostilità è frutto dell’incapacità di fermarsi a pensare prima di parlare, usando spesso parole frettolose che sanno fare male e fare del male. L’esperienza di tutti i giorni dimostra quanto sia importante il silenzio prodotto dall’ascolto attivo». Quindi «disinnescare richiede equilibrio e il riconoscimento dell’altro, virtù che nascono dal guardarsi dentro, ricercando quella pace che è fondamento della comunicazione a cui dovremmo tendere». La direttrice ha parlato della necessità di prevenire i conflitti, «abituandoci a parole vere e veritiere che diano risalto a comportamenti coerenti. Stare “con” ovvero cercare l’unione e l’unità». Ha concluso ricordando le parole di papa Francesco, «che sintetizzano il mio pensiero: “disarmare le parole per disarmare le menti”».
Ornella Favero, direttrice della rivista e anima della giornata, ha spiegato che «l’idea del titolo, “Disinnescare”, è frutto dei ragionamenti fatti dalla redazione sulla rabbia e l’aggressività presenti nella società». Disinnescare richiede «il disarmarsi che deve essere per qualsiasi forma di violenza: dobbiamo imparare a tenere le mani in tasca quando qualcosa non va». E il «disarmo delle parole. È fondamentale perché non c’è solo la violenza fisica, ma c’è anche quella verbale. Siamo chiamati ad abolire le parole violente dal nostro vocabolario, sempre». Ornella Favero ha ringraziato della presenza Gino Cecchettin, il papà di Giulia, «venuto qui senza rabbia, rancore, a portare parole pulite, gentili, dette con il cuore. È una cosa troppo grande». È intervenuto Salvatore, una persona detenuta, cresciuto accanto al crimine organizzato: «Ne ho preso le gesta, il modo di pensare e di vivere». Con Ristretti orizzonti ha partecipato al progetto “Scuola-carcere”. A questa iniziativa «partecipavano anche i detenuti dell’alta sicurezza che hanno raccontato la loro testimonianza. Ascoltarli mi ha fatto cambiare il mio modo di pensare: avevo una mentalità omertosa che non mi permetteva di fare un percorso o di sperare di avere una vita onesta. Grazie a questo progetto sono entrato con una mentalità e ne sono uscito con un’altra». Oggi le persone recluse dell’alta sicurezza non possono più far parte della redazione, con una «grande delusione» per tanti, tra cui Salvatore.
Ha parlato Marino Occhipinti, in passato uno dei componenti della banda della Uno bianca che a cavallo degli anni Novanta, ha seminato il terrore nel bolognese. Ha detto della sua rabbia incontrollata vissuta anche da giovane, originata da un’infanzia difficile che l’ha portato a una grande sofferenza poi all’aggressività e alla violenza. In carcere «rivedere la mia vita mi ha aiutato a ricollocare questa collera, a riconoscere le mie responsabilità facendo pace con me stesso e con mio padre, anche se non c’è più». E ha concluso ringraziando Ornella Favero per la sua presenza incondizionata: «Oggi respiro e non sento più l’inferno che mi ha accompagnato per tutta la vita».
In diversi avevano gli occhi lucidi. Gino Cecchettin ha raccontato dell’incontro avvenuto con la redazione a ottobre dello scorso anno, dove erano presenti diverse persone detenute: «Ho sentito persone vere, sincere, che avevano sbagliato. Più sentivo raccontarli più percepivo di non essere nessuno per poter giudicare». Gino in quell’occasione ha parlato del suo «processo interiore, per tenere lontano quei sentimenti di collera e odio che stavano sopraggiungendo in qual periodo nei confronti di Filippo Turetta. Ero spinto solo dall’amore per i miei figli». Poi ha fatto riferimento a un’udienza del processo per l’uccisione della figlia, a dicembre dello scorso anno: «Se in quell’occasione, di fronte a Filippo, non mi sono sentito giudice, non ho vissuto la rabbia e l’odio nei suoi confronti, il merito è stato vostro, dell’incontro che ho avuto con voi in carcere. Filippo in quegli istanti mi ha fatto solo pena». Il papà di Giulia ha poi parlato della necessità di sognare, sempre: «I sogni dovrebbero essere per ogni persona, in qualsiasi condizione ci si trovi. La vostra realtà si chiama Ristretti orizzonti, ma sono comunque orizzonti. Quando si parla di orizzonte vuol dire che comunque si guarda avanti. Lo stesso vale per me». Si è definito «inguaribile ottimista», per una vita che «va sempre onorata». Al margine della giornata, la direttrice della Casa di reclusione, Maria Gabriella Lusi, ha espresso tutta la sua soddisfazione per l’iniziativa: «Il bilancio è molto positivo. A distanza di qualche settimana dal mio insediamento, ho toccato con mano la capacità progettuale e organizzativa dell’istituto e la sinergia molto forte e proficua tra le diverse componenti del carcere, a partire da Ristretti orizzonti». La direttrice si è detta colpita soprattutto dalle testimonianze dei carcerati: «Un intreccio di emozioni, di sofferenza, con un comune denominatore, l’introspezione, quale condizione per uscire dalla rabbia, per allontanarsi dal conflitto e prevenirlo». Prendendo spunto dalla giornata, la direttrice ha affermato che «la più grande eredità che raccolgo della Casa di reclusione è che si pone come realtà rieducativa, finalizzata al reinserimento sociale». E concludendo ha asserito: «Con la giornata del 23 maggio siamo tutti un po’ cresciuti».
Da una recente circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’ufficio del Ministero della giustizia che si occupa di carceri, otto detenuti dell’alta sicurezza del carcere di Padova non possono più lavorare nella redazione di Ristretti orizzonti. La nuova norma impone limiti più rigidi alle loro attività fuori cella, riducendo la discrezionalità dei singoli istituti. L’obiettivo è limitare i contatti con altri detenuti e l’esterno per prevenire rischi di reclutamento e legami con le organizzazioni criminali, ma inevitabilmente la decisione ha suscitato molte critiche.