StorieCesarina Zoccolan di Reschigliano di Campodarsego è un’energica signora di 84 anni che da oltre 45 anni è catechista. Si è sempre formata partecipando a corsi e incontri per «imparare qualcosa in più da trasmettere ai ragazzi, per il bene della loro formazione cristiana»
Catechista per oltre quarantacinque anni: è il record di Cesarina Zoccolan che ha cominciato a lavorare con bambini e ragazzi nel lontano 1977 e non si è ancora fermata. Energica signora di 84 anni, Cesarina vive a Reschigliano di Campodarsego, ed è qui che ha sempre svolto il suo servizio, con amore e dedizione, facendo conoscere la figura di Gesù a diverse generazioni di bambini e ragazzi. Ma com’è possibile, le chiediamo, non sentire la stanchezza dopo tanto impegno profuso? «Diciamo che sono una maestra mancata, la mia vocazione era l’insegnamento, anche se poi mi sono occupata di crescere i figli e di aiutare mio marito Giuseppe nella sua professione. Nell’ottobre del 1974 arrivai a Reschigliano con la famiglia, ci trasferimmo da Milano per lavoro. Paola, la figlia più grande, iniziava la terza elementare e anche il catechismo in preparazione alla prima comunione. Mauro invece aveva cinque anni e frequentava l’ultimo anno di asilo parrocchiale gestito dalle suore. Diana aveva due anni e restava a casa con me». Ed è così che, dopo qualche, anno, complice il percorso dei figli e l’insistenza del parroco di allora, Cesarina inizia a fare la catechista. «Don Giorgio Verzotto insistette molto anche se io non mi sentivo preparata, mi sentivo invece indegna e incapace di parlare di Gesù a dei bambini piccoli. Ma don Giorgio aveva argomentazioni che convincevano! Mi diceva di non preoccuparmi e di fare semplicemente la mamma. A lui devo molto, grazie alla sua tenacia mi sono occupata anche di altre attività in parrocchia: mi dava la spinta e… via!». Cesarina perse la mamma quand’era molto piccola e forse anche per questo, dice, ha sviluppato un forte senso materno verso tutti i bambini. Da ragazzina frequentò un collegio di suore fino all’età di 19 anni. Oggi è vedova e pochi anni fa ha sofferto anche la perdita del figlio maschio. «La fede per me è vita, fede che è cresciuta anche facendo il catechismo, pregando con i ragazzi e per i ragazzi. Nel tempo sono cambiata, credo in meglio, e prima di tutto ci ha guadagnato la mia fede, la riconoscenza e l’amore per Gesù e per Maria, che chiamo la mia “mammina”. I ragazzi invece restano tali sempre. Ho avuto dei bei gruppi, simpatici ed educati, si giocava e lavorava bene. Certo mi sono resa conto della differenza tra quelli ben seguiti dalle famiglie e quelli lasciati invece un po’ a se stessi, nel tempo ho notato anche l’aumento della maleducazione e il minore rispetto per gli adulti. Ho sempre cercato di coinvolgere i ragazzi utilizzando ciò che poteva interessarli: parlavo con loro, chiedevo dei loro interessi. Poi mi avvalevo di una storia, un brano del Vangelo, un filmato, un fatto accaduto, un comportamento da discutere; poteva succedere che mi preparassi su un argomento e poi si finisse per fare tutt’altro. Organizzavo spesso delle recite, soprattutto dove c’erano vari personaggi nelle storie del Vangelo, i ragazzi le apprezzavano molto. Portavo delle testimonianze e facevo anche alcune uscite per andare a trovare persone anziane, visite al cimitero, in chiesa quando spiegavo alcune parti della messa o in sacrestia per mostrare le vesti e gli oggetti che usano i sacerdoti». La donna si è sempre formata partecipando a corsi e incontri per catechisti, per «imparare qualcosa in più da trasmettere ai ragazzi, per il bene della loro formazione cristiana». Il rapporto con gli altri catechisti è stato buono anche se qualche gelosia non è mancata. «Mi sono sentita dire, abbastanza di recente, che sono troppo anziana per occuparmi dell’iniziazione cristiana; ma poi, per necessità, ho finito per dedicarmi ai due anni di fraternità, continuando anche con i giovani. In generale comunque c’è sempre stato rispetto reciproco: nei primi anni del catechismo ero molto concentrata nel dare ai ragazzi il meglio, per aprire il loro cuore a Gesù, e non pensavo a condividere le mie esperienze con le altre catechiste, mi sembrava anche un modo per mettermi in mostra, così restavo sulle mie. Poi ho capito che potevamo esserci d’aiuto reciprocamente e ho iniziato anch’io ad aprirmi e a raccontare, soprattutto le cose buone che avvenivano durante il catechismo, tralasciando le lamentele sul comportamento dei ragazzi». Cesarina ha svolto il servizio di catechista soprattutto negli anni antecedenti l’iniziazione cristiana, sul cui orientamento ha le idee chiare. «Ho partecipato agli incontri che si sono tenuti per imparare il “nuovo” metodo ma, quando l’ho conosciuto, devo dire che non ho apprezzato tutto. Certe cose sì, come la consegna dei segni: il crocifisso, il Vangelo, il Credo, il coinvolgimento delle famiglie. Non approvo invece la scelta di proporre i sacramenti in quinta elementare, e tante altre cose: avrei optato per un mix tra vecchio e nuovo metodo. Sono convinta inoltre che gli incontri debbano essere settimanali sia per il catechista, che impara a conoscere bene i bambini, sia per gli stessi bambini che fanno più gruppo e amicizia».
Cesarina, donna allegra e dall’eloquio vivace, riceve periodicamente alcuni giovani nel suo appartamento. «Con loro ho iniziato la fraternità negli anni della pandemia e gli incontri settimanali erano nella mia abitazione. Oggi hanno 17 anni, sono in terza superiore: ogni tanto ci troviamo con alcuni di loro per mangiare una pizza e intanto parliamo. È bellissimo!».
Di aneddoti da raccontare Cesarina ne ha molti, uno le è rimasto impresso. «Nei primi anni Novanta, Alessio, un ragazzo di seconda media, mi chiese con malizia come nascessero i bambini, dicendomi che voleva la verità e non la “solita storiella”! Restai impacciata, poi risposi che era un argomento da trattare con più tempo e lo avremmo fatto la volta successiva. Chiesi consiglio a don Giorgio sul se e come parlarne. Mi suggerì di farlo come avrei fatto con i miei figli, ma… non lo erano! Il Signore mi venne incontro: Alessio non rifece più quella domanda così precisa, quindi non fu più necessario parlarne».
