Idee
I nostri giorni hanno bisogno della serenità che le fatiche quotidiane e le tensioni geopolitiche ci hanno tolto. A Natale, spesso abbiamo bisogno anche di riposo e di calore umano, sia che siamo giovani e forti o anziani e fragili. L’immagine che si genera in automatico nella nostra mente è quella di un divano caldo, di un camino acceso, della neve che scende fuori. Ma oggi, mai come prima, è necessario che ci mobilitiamo, che ci attiviamo, da quel divano siamo chiamati a rialzarci spegnendo la tv: è tempo di uscire per le strade, di condividere, di costruire.
L’enormità della venuta di Cristo – soprattutto per i credenti – 2.025 anni dopo passa per un fatto scontato, una cosa ripetitiva che ha a che fare con una liturgia stanca, dentro una chiesa o attorno a un tavolo. Possibile che ci siamo abituati a un fatto che ha cambiatomi corso della storia e imposto il calcolo dei millenni a partire da un preciso evento, in una capanna alla periferia di un piccolo villaggio mediorientale?
«Noi in Occidente (ma sospettiamo che la cosa valga per per l’Oriente, ndr) siamo animali fatti per porre domande e per cercare di ottenere risposte, costi quel che costi»: così scriveva oltre cinquant’anni fa il critico letterario George Steiner. La domanda allora è: è ancora così? Nel nostro Occidente – oramai in pezzi – viviamo ancora questa dimensione di ricerca interiore? O abbiamo appiattito i numerosi significati di questo lemma alla sola accezione scientifico-tecnologica per ragioni economiche? Nella dimensione della ricerca interiore c’è un altissimo tasso di autenticità, la persona che si mette in moto – fisicamente o psicologicamente – sta facendo i conti con se stessa, aspira a comprendere meglio (almeno) una parte di sé dalla quale provengono le domande che la muovono. E, come sosteneva il biblista Romano Penna, il grande valore di tutto ciò non sta nei risultati a cui questa ricerca e queste domande possono portare, ma nella ricerca stessa. In quell’atteggiamento, che descrive meglio di molti altri la persona che abita, esiste un briciolo ineffabile di verità capace di orientare una vita intera.
Alcuni giorni fa ho incontrato il gruppo giovani di Praglia, ci siamo confrontati molto su giornalismo e comunicazione, e alla fine siamo arrivati a una conclusione: qualsiasi tipo di comunicazione funziona se chi la emette è vero, autentico, e chi la ascolta è attento. Vale per i giornalisti, ma anche per tutti noi. Quei giovani si chiedevano: perché il Verbo che è Gesù oggi sembra così afono, poco incisivo, poco sentito? Azzardando un’ipotesi, si potrebbe pensare che chi lo pronuncia non sia vero o coinvolto fino in fondo, oppure sia distratto da molte altre cose a cui correre dietro anziché stare nella Relazione e nelle relazioni.
Sabato 13 dicembre, la Chiesa di Padova, assieme a Caritas Italiana e alla Fondazione Zancan, ha aperto ufficialmente la causa di beatificazione per don Giovanni Nervo. Tra le molte parole dette sul prete di Solagna, certamente le più incisive sono state quelle del vescovo Claudio, che ha sintetizzato come la lettura del Vangelo si traducesse in stile e azioni in don Giovanni; come la sua profonda spiritualità gli desse la libertà di parlare francamente, ispirando e provocando ancora oggi tutti noi che tendiamo a delegare la soluzione di problemi piccoli e grandi e a scansare le domande che potrebbero smuoverci dalla nostra confort zone. I testimoni di santità come don Giovanni – a prescindere da come finiscono i processi canonici – hanno questa caratteristica in comune: sfiorata o compresa la verità di loro stessi, non hanno mai staccato la spina alla loro coscienza e al loro pensiero critico, e non si sono fermati di fronte a ostacoli o impedimenti. Si sono sentiti responsabili della loro missione – qualunque essa fosse – e hanno dato il massimo di loro stessi, alimentando il loro impegno con una intensa vita spirituale.
È di questa dinamica che abbiamo bisogno per dare senso ai nostri giorni. E allora che sia per tutti un Natale di domande e di ricerca. Un Natale inquieto.