Chiesa | DiocesiA Cittadella – dove è stato arciprete del Duomo dal 1986 al 1995 – domenica 6 aprile viene ricordato mons. Luigi Rossi. Presiede l’eucaristia delle il cugino mons. Giampaolo Dianin, vescovo di Chioggia.
«Il Signore vuole che questa vacanza sia per me più ancora delle altre un esperimento di quello che sarà la mia vita di sacerdote»: così comincia una delle pagine scritte dal giovane Luigi Rossi nell’autunno 1958. Nel trentennale della sua morte, avvenuta il 13 aprile 1995, la comunità di Cittadella mossa da viva riconoscenza e gratitudine ha desiderato istituire una borsa di studio e ricerca presso la Facoltà di Teologia del Triveneto con l’obiettivo di approfondire la teologia del laicato attraverso gli scritti raccolti presso l’ufficio parrocchiale. Dopo un accurato lavoro di repertamento e analisi del materiale abbiamo proceduto a una lettura comparata tra i documenti pastorali e i personali diari del cammino spirituale messi a disposizione dal cugino mons. Dianin Giampaolo, già presbitero della diocesi di Padova e dal 3 novembre 2021 vescovo di Chioggia. Nato il 12 gennaio del 1936, a Teolo, ben presto Luigi Rossi uscirà dalla casa paterna per entrare in Seminario minore. I primi anni di formazione restano ormai persi nella distanza temporale che sbiadisce i ricordi, è però dal 1958 che comincia una testimonianza chiara e ben delineata della scelta profonda di vita radicalmente spesa alla sequela di Cristo negli scritti del suo cammino spirituale. Dopo l’ordinazione presbiterale, avvenuta il 10 luglio 1960, così annota: «Gesù Sacerdote Sommo ed Eterno rendete il mio sacerdozio quale voi l’avete ideato. È giunto il momento di ripetere con maggior forza questa preghiera che mi ha sostenuto in momenti tanto difficili». In queste poche parole si raccoglie tutto il senso del suo sacerdozio: essere scelto da Dio, consacrato a Dio per servirlo come mediatore, consapevole del rischio di diventare un prete “borghese”, ma capace di darsi completamente alla cura delle anime. Inviato allo studio giuridico all’Università di Padova accetta come una bomba inaspettata “l’obbedienza” che mons. Bortignon gli consegna. Dopo la laurea in Diritto civile, il 13 luglio 1966 – all’indomani della festa – annota: «Una laurea non è certo un punto di arrivo ma di partenza. I superiori sapranno che cosa fare di me: essi sono interpreti per me della volontà divina». Per 26 anni questa disposizione lo accompagnerà in ogni incarico ricoperto presso la Curia di Padova, ponendo la sua obbedienza nelle mani di Dio suo primo interlocutore interiore, più volte invocato con la tenerezza di un figlio che umilmente si lascia condurre attraverso le vicende quotidiane. Assistente diocesano dell’Unione uomini di Azione Cattolica, a contatto con i giovani con l’insegnamento presso il liceo classico cittadino Tito Livio, giudice del Tribunale ecclesiastico del Triveneto, sarà attento recettore del rinnovamento e trasformazione della Chiesa uscente dal Concilio Vaticano II. Promotore di cammini di formazione per quel laicato dell’Azione cattolica che avvertiva come vero destinatario dell’azione pastorale della chiesa, lavorerà intensamente negli anni preparatori al grande Sinodo sui laici del 1987 per proporre una sintesi operativa tra il laicato pastorale impegnato nelle associazioni ecclesiali, il laicato spirituale attivo nei movimenti spirituali, e il laicato secolare impegnato nella vita quotidiana. Come vicario vescovile per l’apostolato dei laici nel 1986 si trova in prima linea nell’approfondire e promuovere il ruolo dell’Azione cattolica per la formazione degli adulti, consapevole di dover aprire un dialogo rispettoso delle coscienze, con l’obbiettivo di rinnovare il senso dell’appartenenza ecclesiale come amore per la propria chiesa. Così scrive nel suo diario poco prima di ricevere l’incarico di parroco presso il Duomo di Cittadella: «Laicità: non alternativa all’ecclesialità, ma un modo specifico di vivere la comune appartenenza alla Chiesa, caratterizzata dall’inserimento nelle realtà terrene». Quasi un manifesto di quello che sarà il suo ministero presbiterale dal novembre 1986 fino al 13 aprile 1995 giorno della sua nascita in cielo. Nei suoi scritti e nei documenti conservati a Cittadella si delinea una prospettiva pastorale rivolta al concretizzare quelle linee meditate in tutta la sua vita spirituale. Questo non è che un primo assaggio dell’eredità lasciata dalla figura di mons. Luigi Rossi nel suo essere prete diocesano figlio del Concilio Vaticano II, innamorato del popolo di Dio che ha incontrato e vissuto in una relazione di prossimità vera, autentica, profondamente intima nella porzione che gli è stata affidata. Umile servitore e promotore dei carismi presenti nelle sue comunità, capace di affrontare temi quali sinodalità, rapporto con il mondo del lavoro, identità e ruolo del fedele nella gerarchia della chiesa rimandando non solo alla teologia dei ministeri, ma evidenziando già l’importanza della ministerialità battesimale. Nel suo impegno formativo ruolo centrale riveste la relazione con le Sacre Scritture, la meditazione profonda della Parola di Dio quale presenza incarnata di Cristo stesso. La promozione dei centri di dialogo e ascolto, la pastorale per la terza età, l’attenzione alla promozione della settimana della comunità e tantissime iniziative per rendere vive le esperienze di fede dei credenti hanno fatto sì che il vicariato di Cittadella fosse luogo di attuazione concreta della comunione cristiana. Da questo primo estratto resta da compiere il lavoro di riflessione sull’eredità che ancora può diventare risorsa per questo cambio d’epoca che le realtà parrocchiali stanno vivendo.
Ilenia Zuccotto
