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Come arginare la siccità: in Veneto un progetto pilota
L’emergenza. Il 95 per cento dell’acqua piovana in Veneto viene dispersa. Con cave dismesse, invasi e bacini, il via a un piano-recupero
FattiL’emergenza. Il 95 per cento dell’acqua piovana in Veneto viene dispersa. Con cave dismesse, invasi e bacini, il via a un piano-recupero
Non piove e la siccità è diventata allarme rosso. Un problema che deve essere risolto in tempi brevi e in maniera efficace e su questo si è ragionato a “Terrevolute 100 – Festival della bonifica”, tenutosi a San Donà di Piave, tappa importante del percorso avviato dall’Anbi, l’Associazione nazionale dei consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue, con la collaborazione scientifica dell’Università di Padova.
«Di fatto dobbiamo ragionare in diverse modalità per contenere acqua dolce, visto che in Italia circa il 90 per cento delle piogge va disperso e inutilizzato in mare – spiega il direttore di Anbi Veneto, Andrea Crestani – In Veneto, si arriva al 95 per cento e la grave siccità in atto spinge Regione e consorzi di bonifica a progettare un piano per aumentare la capacità idrica, includendo cave dismesse in alta pianura, invasi di media pianura, nuovi bacini interaziendali, rami morti di fiumi, serbatoi sotterranei. È un progetto, il cui valore ammonta a mezzo miliardo di euro e che non può più essere rinviato, perché da esso dipendono, ogni anno, oltre sei miliardi di euro in produzione agricola regionale».
Il segnale è forte perché continua a non piovere e l’emergenza acqua che fino a 15 giorni fa interessava il Nord Italia ora ha investito anche il Sud. Di fronte alla necessità di trattenere l’acqua piovana, la proposta fatta al governo da Anbi è quella di realizzare nuovi invasi. A livello nazionale si lavora al “progetto laghetti” con Coldiretti, per la realizzazione di 10 mila bacini medio piccoli, di questi seimila aziendali e quattromila consortili. In Veneto è in corso un’esperienza pilota a livello nazionale, una sperimentazione in atto in provincia di Treviso e in Polesine che vede l’utilizzo delle cave dismesse. L’urgenza è quella di trattenere l’acqua per usarla nei momenti di bisogno e al contempo prevenire gli allagamenti con bacini a monte dei grandi centri urbani: nel momento di piena, si invaserebbe l’acqua così da evitare il rischio alluvioni e contestualmente creare riserva. La scelta del luogo del festival Terrevolute 100 non è casuale: un secolo fa, era il 22 marzo 1922, a San Donà di Piave si tenne il congresso delle bonifiche venete che poi divenne nazionale, al quale parteciparono personalità di spicco come don Luigi Sturzo, Silvio Trentin e Arrigo Serpieri. Un passaggio epocale per la moderna bonifica che ha disegnato l’Italia così come la vediamo adesso. Il 30 per cento del territorio di pianura italiano, infatti, esiste solo perché esistono i consorzi di bonifica, o meglio, esistono le oltre 800 idrovore che tengono asciutto il territorio. Se le idrovore dovessero chiudere, sparirebbe la costa litorale che va dalla Romagna a Trieste, la Versilia, l’Agro pontino, il Campidano, l’aeroporto di Venezia e quello di Roma, metà della città di Padova.
«Quell’occasione ha cambiato il corso dell’uomo in Veneto – ha commentato Francesco Cazzaro, presidente Anbi Veneto – Moltissimi territori sono stati strappati alla palude, all’acquitrino e alle malattie che la situazione portava, generando lo sviluppo economico che conosciamo. Quell’evento ha ridisegnato l’Italia degli ultimi cento anni, con questo passaggio vogliamo progettare l’Italia del prossimo secolo: ogni ragionamento sulla rigenerazione urbana deve tenere in considerazione l’acqua visto che non c’è territorio, paesaggio e ambiente senza il verde, e il verde deriva dalla disponibilità d’acqua». Il festival ha rappresentato anche la penultima tappa di un percorso iniziato in collaborazione con 23 dipartimenti di 15 università italiane per delineare la bonifica ponendo quale obiettivo la sostenibilità e come parametro di discussione i gol dell’agenda 2030 dell’Onu.