«Disarmare la comunicazione». È l’ultimo invito, potente nella sua mitezza, che papa Francesco aveva rivolto a giornalisti e comunicatori lo scorso 24 gennaio in vista della 59a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che la Chiesa celebra domenica 1° giugno. Ma come rispondere concretamente a questa chiamata in un mondo in cui – da Gaza all’Ucraina, dai social network al dibattito politico – sembrano prevalere parole “armate”, toni aggressivi, retoriche polarizzanti? «Permettimi di iniziare da ciò che sembra un passaggio di testimone: il messaggio si apre con lo stesso verbo, “disarmare”, usato da Leone XIV fin dall’inizio del suo pontificato – risponde Marco Girardo, dal 2023 direttore di Avvenire – L’intuizione di Francesco è straordinaria: è un richiamo alla responsabilità personale degli operatori dell’informazione, condividendo attraverso il nostro lavoro di giornalisti la speranza di cui siamo testimoni. È l’ultima tappa di un ragionamento sviluppato da Francesco nelle giornate delle comunicazioni sociali degli ultimi tre anni: prima ci ha richiamato ad “andare a vedere”, in un’epoca in cui l’informazione è spesso solo virtuale; poi ci ha esortati ad ascoltare, a incontrare l’interlocutore guardandolo negli occhi. Ora, infine, ci propone di comunicare cordialmente, ovvero a mettere letteralmente il cuore al centro».
Nel suo messaggio rivolto a giornalisti e comunicatori, Francesco invitava a essere responsabili, veri e a purificare le parole dall’aggressività
Una traiettoria che ci riporta anche all’essenza del giornalismo…
«Ci invita a raccontare la realtà nella sua complessità, senza alzare la voce e senza semplificazioni, con precisione e completezza. E con una sorta di gentilezza, “mitezza” la chiama Francesco: un “aver cura” che non cerca lo scontro ma l’incontro con persone e situazioni. Scegliendo con attenzione dove puntare il nostro “faro”, dato che il papa ci chiede di illuminare proprio chi spesso è escluso dal circo mediatico. Basti pensare, per fare un esempio, alla sproporzione tra l’attenzione per il delitto di Garlasco e quella per la guerra a Gaza. Oggi, in un universo informativo sempre più frammentato, è più che mai necessario un ritorno alla realtà, altrimenti rischiamo tutti di rimanere imprigionati in una bolla».
Quattro trappole da evitare Per il direttore di Avvenire Marco Girardo, paura, polarizzazione, ridondanza e fake news stanno inquinando l’informazione
Nel messaggio, il mondo dell’informazione viene chiamato al compito di trasmettere anche speranza. In che modo è possibile farlo senza cadere nella retorica o nella rimozione?
«Evitando le trappole dell’informazione digitale, che spesso generano distorsioni. Ce ne sono almeno quattro: la polarizzazione spinta, che divide e contrappone; la paura, che diventa il principale motore di attenzione; la ridondanza informativa, per cui dimentichiamo in pochissimo tempo ciò che abbiamo appena letto, e infine la post-verità, con le fake news sembrano funzionare meglio delle notizie vere. Per trasmettere speranza dobbiamo sottrarci a questi meccanismi: soprattutto sulle piattaforme online, dove gli algoritmi incentivano l’emotività e la reazione. Una sfida controcorrente ma evidentemente necessaria».
Quale può essere in questo scenario il ruolo dei mezzi di informazione cattolici come Avvenire o la Difesa?
«Riparto da uno studio del Massachusetts Institute of Technology di Boston del 2018, secondo il quale le fake news si diffondono in rete sei volte più velocemente delle notizie vere. In occasione del Giubileo della comunicazione, lo scorso gennaio, mi ha colpito una riflessione della giornalista filippina Maria Ressa, premio Nobel per la pace nel 2021: “Senza fatti non può esserci verità. Senza verità non ci può essere fiducia. Senza queste tre cose non abbiamo una realtà condivisa, e tanto meno possiamo risolvere problemi esistenziali come il cambiamento climatico”. La risposta non può che essere il ritorno alla verità, cioè al buon giornalismo. E non possiamo affrontare questa crisi senza puntare sugli strumenti fondamentali del nostro mestiere e senza aiutare le persone a riconoscerne il valore. Bisogna poi ricostruire un rapporto di fiducia con la propria comunità di lettori rispondendo alle istanze che arrivano dal territorio, dialogando attraverso i social, rispondendo alle lettere, organizzando incontri. Non possiamo più pensare a un’informazione unidirezionale: oggi il lettore vuole essere ascoltato e coinvolto. Viene in mente una frase tratta da sant’Agostino citata da papa Leone: “Cerchiamo di vivere bene e i tempi saranno buoni. I tempi siamo noi”».
In conclusione torniamo al messaggio del papa: quanto conta, nell’informazione la dimensione dell’ascolto? E che cosa significa per lei, da direttore, “comunicare con il cuore”?
«L’ultima volta che ho visto papa Francesco è stata proprio in occasione del Giubileo della comunicazione. Era già molto provato, ma ha rinunciato a leggere il discorso già preparato per dire poche parole a braccio. Ha raccontato l’episodio di una giornalista che gli aveva chiesto: “Santità, io cerco di dire sempre la verità: che cosa posso fare di più contro le fake news?”. E lui ha risposto: “Ma tu sei vera?”. Ecco, è una risposta che mi ha colpito profondamente: è un invito a un discernimento interiore, a un lavoro profondo su sé stessi. In un momento in cui si parla tanto di giornalismo “vero”, la testimonianza più forte è cercare noi stessi di essere autentici. Non basta dire cose vere, per farlo dobbiamo essere anche persone vere».
«La comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazaret, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore per come interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture – aveva scritto papa Francesco nel suo messaggio –Sogno per questo una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato. Una comunicazione che sia capace di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia… Una comunicazione che ci aiuti a “riconoscere la dignità di ogni essere umano e a prenderci cura insieme della nostra casa comune”».
Il libro Condividete con mitezza la speranza, curato da Vincenzo Corrado e Stefano Pasta (Scholé, 2025, 256 pp.) offre commenti di diversi autori al messaggio di papa Francesco per la 59a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Con la forza di un pastore e la lucidità di un grande osservatore del nostro tempo, papa Francesco in questo suo ultimo messaggio, nell’anno del Giubileo, indica la via per una comunicazione che non venda illusioni o paure, ma offra ragioni per sperare. Un cammino che passa attraverso la guarigione dal protagonismo, l’ascolto profondo e la riscoperta del volto dell’altro, per “disarmare” parole troppo spesso intrise di odio e semplificazioni. Con i commenti, tra gli altri, di Riccardo Battocchio, Gino Cecchettin, Annalisa Guida, Colum McCann, Arnoldo Mosca Mondadori, Denis Mukwege, Sergio Perugini, Alessandro Rosina, Paolo Ruffini.