Fatti
Si è conclusa, sabato 8 novembre, a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha riunito istituzioni, professionisti del servizio pubblico e del terzo settore accreditato per delineare una strategia condivisa di rinnovamento del sistema di prevenzione e cura in Italia. Secondo le stime, in Italia si contano circa 4 milioni di consumatori di sostanze, di cui almeno 500mila problematici, ma solo 135mila risultano presi in carico dai servizi. Di questi, appena il 12% sono nuovi utenti. Nel gioco d’azzardo patologico, su 1,5 milioni di persone problematiche, solo 15mila accedono a percorsi di cura. Dai tavoli di lavoro della Conferenza nazionale sulle dipendenze sono emerse alcune priorità come la prevenzione, una governance integrata e nuovi modelli di presa in carico. Alla conclusione della Conferenza nazionale abbiamo parlato con il presidente della Fict, Luciano Squillaci.
Presidente, che bilancio fa della Conferenza?
Sono estremamente soddisfatto per due motivi. Il primo è che c’è stato spazio per il confronto e a me pare che il sistema abbia dimostrato di essere pronto a uscire dalle logiche ideologiche che fino a oggi hanno di fatto contraddistinto il percorso delle altre Conferenze, ma anche, in generale, il percorso del sistema dei servizi, per entrare veramente nella logica della condivisione di obiettivi e di interventi.
Credo che il sistema ne esca veramente rinforzato da un punto di vista proprio di rapporti, di relazioni e di prospettive.
Ci sono stati interventi di persone che fino a ieri erano su un estremo ideologico, con aperture straordinarie sia da una parte sia dall’altra. Questo credo che sia il primo risultato tangibile della Conferenza e del lavoro che è stato fatto in questi anni.
Qual è il secondo motivo per cui è soddisfatto di com’è andata la Conferenza?
È chiaro che da qui si parte con dei piani di lavoro. Alfredo Mantovano, nel suo intervento conclusivo, l’ha ribadito, dicendo che da qui inizia il lavoro, si va avanti, continueremo a incontrarci e a definire concretamente quello che è emerso dalla Conferenza. Questi due motivi mi fanno dire che la Conferenza è andata bene.
Anche la presenza del presidente della Repubblica, del presidente del Consiglio, del Governo al gran completo, dei due presidenti delle Camere, del Papa attraverso un videomessaggio, ha mostrato un’attenzione generale sulla questione.
Quali sono le maggiori criticità emerse durante la Conferenza?
L’analisi che è venuta fuori dalla Conferenza è in chiaro scuro, ci sono sicuramente tantissime criticità e tantissimi allarmi, ma non sono una novità, semplicemente sono stati certificati e approfonditi nei motivi.
Tra i motivi di preoccupazione, la percentuale di giovani con problemi di dipendenze…
Per i giovani l’allarme è enorme,
noi continuiamo a ribadirlo da tantissimo tempo. C’è la necessità di tornare a investire seriamente in percorsi educativi, strutturati all’interno delle scuole, con finanziamenti che garantiscano la continuità, serve una prevenzione che sia fondata per tutte le dipendenze. L’altra novità importante di questa Conferenza è che non si è parlato solo delle dipendenze da sostanza, per esempio per i giovani, i giovanissimi in modo particolare, la questione del gaming è rilevante. Altra questione sono le dipendenze tecnologiche.
Il fatto di poter discutere a 360 gradi di tutti questi aspetti ha offerto la possibilità di avere un quadro quanto più possibile completo, ma è anche chiaro che, se non si fa immediatamente qualcosa, il rischio è che i dati attuali sulle dipendenze peggioreranno notevolmente nei prossimi anni. Occorre intervenire con enorme urgenza in maniera complessiva e seria.
Quali altri problemi sono stati individuati durante la Conferenza?
Sono emerse difficoltà legate alla governance del sistema: le regioni vanno spesso per i fatti loro, all’interno del sistema non c’è una sintesi adeguata a livello centrale. Ad esempio, i detenuti con problemi di dipendenza c’è un sistema informatizzato di monitoraggio all’intero del carcere, che non comunica, però, con il sistema di monitoraggio dei servizi al di fuori del carcere. Questo implica che una persona praticamente si sdoppia: quando è detenuta ha un determinato tipo di fascicolo sanitario, quando è fuori ne ha un altro.
Su questo noi abbiamo chiesto che ci sia un progetto pilota a livello nazionale, un coordinamento centrale in maniera tale da poter garantire un’uniformità dei dati, senza la quale non c’è una lettura del fenomeno coerente con quello che succede.
Cosa chiedete ora come Fict?
Innanzitutto,
perché negli anni sono state fatte delle modifiche al dpr 309-90, ma in maniera settoriale, una volta le tabelle per quanto riguarda lo spaccio, un’altra volta le carceri, ma questo rischia di frammentare ulteriormente il servizio. Noi pensiamo che i tempi siano maturi per ripensare il modello di intervento e in generale la normativa di riferimento, questo è il primo passaggio. Il secondo passaggio, fortemente collegato al primo, è che
![]()
se ripensiamo al modello di intervento, dobbiamo ripensarlo sempre più in termini di prossimità
e qua tornano quanto ha detto il Papa nel videomessaggio, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il sottosegretario Mantovano: nessuno va lasciato indietro, dobbiamo avere il coraggio di affrontare senza ideologie, così come abbiamo fatto in questi due giorni di Conferenza, un servizio che sia capace di moltiplicare le porte d’accesso sul territorio. Oggi noi su 5 persone con problemi di dipendenza da sostanza che necessiterebbero di un intervento, riusciamo a prenderne in carico una sola con il sistema dei servizi attuali, mentre gli altri 4 non vengono intercettate per una serie di motivi e non abbiamo la possibilità di accoglierle nei servizi. Perciò,
dobbiamo moltiplicare le antenne sui territori, il che significa avere in tutti i servizi territoriali, dai centri di aggregazione ai centri per le famiglie e agli hub nei comuni, in ciascuno dei servizi dove si entra in contatto con le famiglie e con il disagio, la possibilità di attivare nell’immediato la proposta di percorso terapeutico.
Dai tavoli è emersa qualche altra richiesta?
La necessità che ci sia formazione specifica e su questo Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della Ricerca, si è impegnata in modo particolare dicendo che già stanno lavorando su una medicina delle dipendenze, ma anche per la formazione in tutte le altre professioni sanitarie e non, che comunque tenga conto della necessità di inserire, nei corsi di laurea che hanno a che vedere con i servizi alla persona, un passaggio specifico sulle dipendenze.
È restato fuori dalla Conferenza qualche tema di cui si doveva, invece, parlare?
A me sembra che in senso generale a 360 gradi è stata affrontata la questione che è vastissima, magari qualche aspetto avrebbe meritato più tempo per essere approfondito: faccio riferimento per esempio in modo particolare alla questione del reinserimento sociale e lavorativo, che è un aspetto che è stato toccato in maniera molto laterale, mentre l’inserimento sociale e lavorativo sappiamo che è un problema e su questo abbiamo la necessità di lavorare ancora di più affinché venga inserito all’interno del trattamento.
Durante la Conferenza è stata ribadita necessità di un impegno corale da parte di tutti…
Sì, d’altra parte il motto della Conferenza è stato “Liberi dalla droga. Insieme si può”. Le dipendenze sono un problema complesso, pensare di affrontarle a compartimenti stagni significa non pensare di risolverle, non pensare di ottenere risultati.
Ci vuole una presa in carico integrata e integrale, mettendo insieme tutte le risorse che già abbiamo sul territorio.
Il problema in questo momento non solo nell’area delle dipendenze, ma in generale nelle politiche sociali e sanitarie, è che ogni servizio è un silos, ma le persone non sono a pezzi, sono complesse e quindi vanno considerate nella loro complessità, per lavorare sulle persone occorre mettere insieme i pezzi.
Tra gli impegni che ha assunto Mantovano cosa è importante?
Tranne che per la riforma normativa per la quale ha detto che ci vorrà un po’ più di tempo, per il resto si è impegnato su tutti i fronti, a partire da un Dipartimento autonomo e funzionale, che preveda la compartecipazione dei servizi pubblici e del Terzo Settore accreditato. Si è direttamente impegnato sul discorso della rilevazione dei dati, che ritiene sia una priorità assoluta: infatti, se non riusciamo a mettere a sistema i dati che abbiamo e la lettura del fenomeno, le politiche che ne conseguono rischiano di essere basate su opinioni. Soprattutto si è impegnato a continuare a coordinare il Dipartimento delle politiche per le dipendenze, che non è un super ministero, ma favorisce il coordinamento interministeriale che è la base per garantire una governance centrale adeguata.
Possiamo guardare con speranza al futuro nella lotta alle dipendenze?
La speranza non è semplice ottimismo, la speranza è avere la certezza che stiamo lavorando con un senso. In questo modo abbiamo speranza.