Idee
Consumo di suolo. La voce dell’esperto. «Abbiamo bisogno di politiche radicali»
Nel suolo è presente il 30 per cento della biodiversità, ma anche il ripristino dei cantieri non ricrea l’ambiente biologico e chimico originario
IdeeNel suolo è presente il 30 per cento della biodiversità, ma anche il ripristino dei cantieri non ricrea l’ambiente biologico e chimico originario
Paolo Pileri, docente di Pianificazione territoriale ambientale al Politecnico di Milano, si occupa da sempre di suolo, consumo di suolo ed effetti ambientali ed ecologici. Tra i suoi libri di divulgazione scientifica, è appena uscito per Laterza Dalla parte del suolo. L’ecosistema invisibile.
Professore, che cosa abbiamo sotto i piedi, che non riusciamo davvero a vedere? «Il suolo non è una superficie, ma un volume, un corpo di circa un metro sotto i nostri piedi; i primi 30 cm sono quelli più vitali: un cucchiaino di terra sana contiene 9 miliardi di esseri viventi, un numero gigantesco! Sono batteri, funghi, alghe, piccoli artropodi e altri, e costituiscono il 30 per cento della biodiversità della Terra».
In una prospettiva più antropocentrica: che servizi ci dà il suolo? «Il suolo libero è un portatore di servizi gigantesco che ci salva la vita. Grazie alla combinazione con le piante, intrappola il carbonio dell’atmosfera, e ogni ettaro assorbe quattro milioni di litri d’acqua. Un suolo antropizzato, per esempio con l’asfalto, è un tappo che diventa come un potente fornello che tiene calda l’atmosfera di giorno e di notte».
Eppure, continuiamo a cementificare e rigeneriamo ancora troppo poco, alla faccia di direttive europee come la Nature restoration law e gli obiettivi per il 2050. Come dobbiamo leggere lo scarto tra consumo di suolo lordo e netto dell’ultimo rapporto Ispra? «La rigenerazione si fa, ma sono piccolissimi casi rispetto al consumo di suolo. La differenza sostanziale tra netto e lordo, nel Veneto, ma non solo, deriva probabilmente dai cantieri giganteschi, richiusi, che nell’ultimo anno si sono letteralmente “colorati di verde”. Solo che da un punto di vista chimico, fisico e biologico quelle sono aree compromesse, molto meno in salute di quando quel suolo era libero. La Nature restoration law è una direttiva e non va da nessuna parte da sola, dobbiamo traghettarla noi verso gli obiettivi del 2050, tra cui l’azzeramento del consumo di suolo. Che, poi, il 2050 è una data lontanissima rispetto alle nostre necessità».
Parte del consumo di suolo è dovuto agli impianti fotovoltaici, fondamentali per la transizione energetica. Come si combinano gli obiettivi zero emissioni e zero consumo di suolo? «Il Veneto è leader nei capannoni dismessi. Secondo l’Ance (Associazione degli imprenditori edili industriali, ndr), che probabilmente ne fa una stima al ribasso, sono 92 mila, un numero enorme. Non potremmo mettere lì i pannelli fotovoltaici? A terra, ci sono dei grossi problemi, perché non sono interventi che si fanno “in punta di piedi”, si ferisce il suolo, senza contare il trattamento di quelle aree (ad esempio in termini di pulizia) e la variazione di temperatura provocata da queste tettoie onnipresenti che vanno ad alterare gli equilibri complessi della vita del suolo, come confermano diversi studi fatti sul campo. Certo, meglio i campi fotovoltaici rispetto all’agricoltura intensiva e agli scarichi degli allevamenti, ma questo non vuol dire che siano la soluzione ideale. Il meno peggio non è più la soluzione contemplabile: oggi, abbiamo bisogno di politiche radicali».