Idee
Futuro. Parola complessa, ricca, totalizzante. Da qualsiasi lato la prendi può avere un significato diverso, eppure è una. Il futuro è il tempo che deve ancora venire, indica un’ipotesi o un’incertezza, spesso speranza.
«In questo periodo pensiamo meno al futuro. Lo vediamo con preoccupazione e investiamo meno: facciamo meno figli e la propensione al risparmio è diminuita anche perché gli anziani risparmiano molto meno sia perché la vita si è allungata e spendono – perché la gratificazione sta nel presente – sia perché si crede meno nei discorsi che pongono la gratificazione nel futuro e oltre – ci spiega il sociologo Stefano Allievi – Perché questo accade? Da una parte certo c’è il consumismo e il desiderio di gratificazione immediata, ma dall’altra c’è una grossa preoccupazione a partire dalla domanda cruciale “ci sarà un futuro?” che io trovo molto presente tra le giovani generazioni per le quali la scelta di non fare figli non è legata al desiderio di gratificazione. Le generazioni più anziane invece, quelle che sono andate o stanno per andare in pensione, sono in assoluto le più privilegiate della storia e per loro il futuro conta poco. I giovani quindi votano sempre meno perché sono sfiduciati, vivono il problema ambientale in maniera molto seria, sono una generazione molto più sobria di quello che si pensa, che va all’essenziale e per questo si preoccupano. Oggi convivono anche con la guerra, una minaccia che sembrava sparita dall’orizzonte europeo».
A maggior ragione quindi, sostiene Allievi, oggi ci si dovrebbe occupare di futuro perché questo è a rischio e sono a rischio anche valori fondamentali che abbiamo sempre dato per scontati come libertà e democrazia, valori che anche da noi sono sotto minaccia: «Questo rischio ci fa capire perché ci sono meno proiezioni sul futuro e anche perché qualcuno non creda più che ci sia un futuro; non a caso molta fiction lo immagina catastrofico, apocalittico. Io sono colpito dalla leggerezza con cui gli adulti non si occupano di futuro, dalla loro irresponsabilità. Sappiamo che la Terra non è in grado di reggere, che in un mondo limitato non ci può essere un consumo illimitato. Eppure continuiamo a consumare senza considerare i costi globali. La vita non è solo produzione, ma è anche gratificazione, gioco. Quelli che riflettono sul futuro e lo traducono in cognizione, in messaggio – intendo l’arte e, in certa misura, la scienza, ci avvisano di quello che sta accadendo. Invece constatiamo un’irresponsabilità nei confronti di natura e giovani che è spaventosa».
Gli anziani sono un interlocutore economico molto “coccolato”: si vendono più pannoloni che pannolini. E sono un interlocutore molto “coccolato” anche sul piano politico perché votano, ma «in una società complessa non si può dire che questa va in una sola direzione – continua Allievi – Dal mio osservatorio dell’Università di Padova vedo nei giovani un livello di consapevolezza che non drammatizza e non accusa le generazioni precedenti che invece se lo meriterebbero, perché il futuro che si sono conquistati gli adulti lo stanno facendo pagare ai più giovani e lo fanno con un egoismo generazionale visibile: non sono inconsapevoli, ma scelgono la loro sicurezza. Sono molto fiducioso sulle giovani generazioni: meno male che ci sono loro, perché noi corriamo velocissimi verso il precipizio».
Allievi pensa, invece, che i nonni così preziosi possano cambiare atteggiamento: «Proviamo a prenderci cura dell’ambiente non solo dei nipotini. Oggi il nostro prossimo è lontano, ma noi abbiamo bisogno degli altri, eppure la metà della popolazione vive da sola. L’Istat ha coniato il neologismo “famiglie unipersonali” e questa solitudine cambia il mondo, ma il mondo è cambiato quando siamo diventati la società dei figli unici: cosa significa fratellanza per qualcuno che non ha mai avuto un fratello?».
Prendersi cura di chi ha poco o nulla è quello che fa Marco Piantini, giovane volontario che vive a Padova e che in Francia ha lavorato con l’associazione Grain de sel (chicco di sale), occupandosi dell’accompagnamento pratico e amicale di emarginati e che continua a fare in Italia: «Le persone che ho incontrato e che incontro da volontario hanno un passato molto pesante, ferite enormi, un’ombra che gli sta sempre addosso e che per questo non riescono nemmeno a immaginare di poter rinascere e, invece, forse la svolta arriva quando capiscono che una speranza è possibile e che il futuro è possibile. Se accettiamo le ferite è possibile mettere le basi nel presente per un futuro che si apre. Penso a padre Giovanni Vannucci che sosteneva che “c’è un futuro che ci chiama”, perché non siamo determinati solo dal passato. C’è un futuro e questo cambia un po’ la prospettiva: ci consente di non guardare indietro pensando al male, ma che siamo chiamati anche da un futuro. Oggi il mio futuro è incerto ma luminoso, nel quotidiano mi trovo bene ma non so cosa farò tra uno o due anni. Sto riflettendo e mi sento parte di una bellezza che resiste. Nel mondo c’è un delirio di guerra e di povertà, ma sento una luce possibile che sta a noi coltivare anche in questa miseria. Anche nell’incertezza c’è una speranza di una bellezza che rimane».
Nei Quaderni dal carcere Antonio Gramsci ha scritto: «Il vecchio mondo sta scomparendo e il nuovo tarda a comparire» e oggi queste parole per Andrea Maiorca, volontario attivista di Legambiente, riprendono senso: «Si profila un futuro molto difficile per le giovani generazioni che oggi non contano molto, non hanno un peso decisionale, e assistiamo a un conflitto tra il vecchio e il nuovo. Il vecchio mondo si aggrappa a cose che non hanno più un futuro, come i combustibili fossili e le politiche dure sull’immigrazione, ma la crisi climatica che tocca le vecchie generazioni per la responsabilità, riverserà i suoi effetti concreti su noi della “generazione Z” e di quella successiva». È lucido Andrea nella disamina di ciò a cui il mondo va incontro e di cosa si può fare per starci dentro con forza: «Oggi è centrale il tema della pace e, per costruirla, sono necessarie delle pratiche di comunità che superino lo scontro generazionale e sociale. Per tenere insieme le vecchie generazioni che per motivi diversi dai miei si sentono abbandonati dalle istituzioni, dalla politica, con le nuove sensibilità, quelle della mia generazione che sostanzialmente non si sente ascoltata, devo portare le mie preoccupazioni su un piano più grande, ma non posso farlo se non costruisco una relazione. Ritengo fondamentale l’intersezionalità che è molto sentita da noi giovani. Abbracciando l’ambientalismo, il femminismo, il tema delle disuguaglianze sociali, della pace, creiamo una comunità sempre più grande e forte per dare una forma a queste istanze». La preoccupazione di Andrea è che la politica stia venendo meno: «I giovani che per Gaza sono scesi per strada sono un fatto enorme, perché significa che persone che hanno “scoperto” la politica su Tiktok si sono interessate di realtà che nulla hanno a che fare con loro semplicemente perché vicine a uomini e donne oppressi».