«Serve un’azione di interessata generosità per superare una situazione già grave che può diventare drammatica se non si interviene e rendere possibile nel giro di 10-15 anni la ripresa della via, oggi interrotta, dello sviluppo dei Paesi africani». Si è chiuso con una nota di fiducia l’intervento di Paolo Gentiloni, co-presidente del Gruppo Onu sulla crisi del debito e già presidente del Consiglio e commissario europeo, all’incontro “Africa e remissione del debito. Una questione di giustizia e futuro” promosso dal Cuamm Medici con l’Africa il 23 maggio a Padova. Un incontro pensato per sostenere la campagna per la riduzione del debito che i Paesi africani hanno con altre Nazioni e con fondi sovrani e che ha bisogno di un sostegno politico e dell’opinione pubblica che oggi non c’è. «Se in occasione della campagna Drop the Debt-abbatti il debito, a cavallo del Duemila il nodo del debito dei Paesi in via di sviluppo sembrava superato – ha ricordato Giovanni Viafora del Corriere della sera – oggi il problema è riemerso». E i numeri lo esplicitano: 1.152 i miliardi di dollari complessivi dei Paesi africani, una cifra raddoppiata negli ultimi dieci anni, 163 miliardi l’anno di soli interessi che gravano su una popolazione giovane, un quarto degli africani nel 2050 avrà meno di 25 anni, e che nel 2100 sarà oltre il 40 per cento della popolazione mondiale. L’analisi del presidente Gentiloni parte dalla constatazione che oggi la realtà è molto diversa di quella di 25 anni fa: «Se la spinta del Giubileo del 2000 ha funzionato, anche perché il grosso dei crediti da riscuotere era in mano ai Paesi del Club di Parigi, oggi quei Paesi detengono solo il 5-6 per cento del debito che oggi è in mano a soggetti diversi, come la Cina, ma soprattutto privati».
E il debito africano, più basso rispetto a quello italiano o della media Ue ma non sostenibile dalle economie a basso reddito, va affrontato prima che alcune Nazioni vadano in bancarotta. Ci sono, infatti, Paesi che crescono al ritmo del 7-8 per cento l’anno ma pagano interessi del 12-13 per cento, per cui un tasso di crescita sostenuto non è sufficiente nemmeno a coprire gli interessi. «Sono Paesi che non rischiano solo il default finanziario, ma anche il default dello sviluppo perché rinunciano a finanziare il loro futuro». Di come affrontare il tema si discuterà a Siviglia dal 30 giugno al 3 luglio nella Conferenza sul finanziamento dello sviluppo, quando secondo Gentiloni potrebbero ritrovarsi concordi molti Paesi avvicinati dalla smaccata spinta anti-multilateralista assunta da alcuni Stati. Più che sulla cancellazione del debito stesso, che oggi non pare praticabile, si lavora sull’allungamento della maturità dei debiti, sulla conversione di parte dei debiti in moneta locale, sullo scambio tra debito e investimenti in ambiente e istruzione. «Come cristiani e come cittadini non possiamo essere disinteressati a questi processi che portano i Paesi poveri ad “appartenere” a quelli ricchi, a diventare “magazzino” dal quale noi attingiamo» ha sottolineato il vescovo di Padova Claudio Cipolla. Cosa comporta il peso del debito in Africa lo ha spiegato Giovanni Putoto, responsabile programmazione e ricerca operativa del Cuamm: «In Mozambico nel 2024 si sono potuti assumere solo 27 nuovi medici per una popolazione di 30 milioni di abitanti, ogni anno migliaia di medici e operatori sanitari formati non vengono assunti nonostante le necessità perché gli Stati non hanno la possibilità di pagarli, l’ospedale di Beira chiede al Cuamm il paracetamolo perché le aziende fornitrici hanno crediti per oltre 150 mila dollari». I tagli voluti dall’amministrazione Trump, ma attuati negli anni anche da altri Paesi, hanno favorito una nuova diffusione di Hiv, Tbc e malattie dell’area riproduttiva, e spinto milioni di persone all’impoverimento. «Dove non c’è welfare sanitario – aggiunge Putoto – il peso delle cure ricade sulle famiglie che pagano in media 30 dei 40 dollari di spesa sanitaria annua. E quindi o rinunciano alle cure o vendono il poco che hanno, animali, terreni, casa». Come uscirne? «Classi dirigenti esemplari non ne vediamo – ammette Gentiloni – ma è nell’interesse stesso dei creditori ridiscutere il debito. L’investimento in Africa oggi sarebbe il più redditizio in prospettiva ma le logiche della finanza internazionale tengono l’Africa molto lontana. Per questo serve un movimento di opinione forte».