Idee
Dal noi al noi genitori. Quando nasce un figlio nascono una famiglia e una comunità
Un progetto di ricerca della Facoltà teologica (ma non solo) per scoprire la generatività sociale, oltre le difficoltà
Un progetto di ricerca della Facoltà teologica (ma non solo) per scoprire la generatività sociale, oltre le difficoltà
«Leonardo, il nostro primo figlio, è stata la più bella cosa che ci sia mai capitata. Ma quanta paura di non farcela, di non essere all’altezza nel ruolo di genitori». A parlare sono Giulia e Marco, una giovane coppia. Da pochi mesi hanno accolto la nascita del primogenito in un palpitare di felicità, bellezza e stupore, misto a incertezza e fatica per questo nuovo ruolo. La loro esperienza è quella di tante altre famiglie che, all’arrivo del primo figlio, sono chiamate a interrogarsi sull’essere non più solamente una coppia, ma una coppia di genitori. Con tanti sogni, attese, interrogativi e un compito del tutto nuovo: generativo nei confronti del nuovo arrivato e, insieme, anche per la singola persona e per il rapporto a due. Cosa implica, dunque, la nascita del primo figlio in una relazione di coppia? È possibile una “fotografia” alternativa a quella corrente che sembra immortalare solo le fatiche e non la ricchezza dell’esperienza? Quali risorse una comunità mette in campo per sostenere il fare e l’essere famiglia in un momento cruciale della vita familiare come la nascita? Nasce da queste precise domande il progetto di ricerca “Primo figlio” avviato dalla Facoltà teologica del Triveneto e dal Centro della Famiglia di Treviso. L’obiettivo, a conclusione di un lavoro che partirà in queste settimane con la raccolta di interviste a nuovi genitori, è ascoltare le coppie cercando di offrire un più qualificato servizio pastorale al territorio, ma anche aiutando le comunità cristiane a riscoprire la propria generatività in dialogo con quel primo nucleo generativo che è costituito da ciascuna famiglia. Un progetto che i curatori hanno voluto far partire da un tema circoscritto, il primo figlio, antropologicamente rilevante ed ecclesialmente significativo. «Il progetto nasce dal desiderio di approfondire alcuni temi relativi alla vita familiare – spiega don Francesco Pesce, direttore del Centro della Famiglia di Treviso – e, nello specifico, da sollecitazioni concrete scaturite dall’ascolto di tante coppie che si rivolgono al consultorio familiare del Centro della Famiglia, uno dei pochissimi di tipo socio-sanitario privati a livello regionale Avviato nel 2018, in stretta collaborazione con il pubblico, l’Ulss 2, è diventato un punto di riferimento nel territorio per l’erogazione di servizi di consulenza psicologica e psicoterapia, assistenza sanitaria, psichiatrica e sociale alla persona e alla coppia. Una realtà attraverso la quale veniamo a contatto ogni giorno con le famiglie, ne ascoltiamo le fatiche e le speranze, le difficoltà e le paure. Almeno il 70 per cento delle coppie incontrate ha raccontato di aver avuto la prima “crisi di coppia” in concomitanza o successivamente alla nascita del primo figlio. Molte di loro hanno espresso sottolineato disagio, sofferenza e senso di inadeguatezza dovuti ad ansia e solitudine: paura di non farcela non solo al momento della nascita e della crescita, ma anche durante l’attesa del primo figlio. Un evento di fronte al quale si sono sentiti spesso impreparati e soli. Dalle tante storie, che affiorano anche a distanza di anni, è nata l’idea di affrontare questo tema in maniera organica». La ricerca partirà dall’ascolto diretto: saranno intervistate una trentina di famiglie appartenenti a varie realtà, come parrocchie e associazioni, ma anche coppie che non fanno parte di alcuna di queste reti. Seguirà un’analisi antropologica, psicologica, teologica per chiarire che cosa significa “comunità generativa” e come le relazioni tra comunità cristiane e famiglie possono contribuire a consolidare questa dimensione in entrambi i soggetti collettivi coinvolti.
Tra le proposte, operative e non solo, più interessanti per la comunità quella delineata dal prof. Vincenzo Rosito del Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia. «Bisogna partire lavorando sulla categoria di “nuovi arrivati”, i new comers. Iniziamo, allora, a usare questo termine al posto di “stranieri immigrati” o ancora di “matricole”, quando parliamo di università, o di “praticanti, tirocinanti”; al posto di “neonati”, il primo figlio, del resto, è il nuovo arrivato per eccellenza. I “nuovi arrivati” riconfigurano, le pratiche presenti in una comunità che chiedono di andare oltre il paradigma dell’accoglienza e dell’ospitalità. Riattivano le forme di apprendimento/apprendistato comunitario, non solo dei genitori. Una realtà comunitaria rinnova prima di tutto sé stessa se si pone come obiettivo non solo lo stare insieme ai nuovi arrivati, ma l’imparare insieme a fare meglio. Una comunità di sequela è tale nella misura in cui accoglie i new comers, ma di più nella misura in cui impara a fare cose nuove per loro con loro. Attraverso il coinvolgimento dei “nuovi arrivati”, la comunità cresce, attiva le proprie risorse, pratiche e cognitive, immaginando percorsi fino ad allora mai sperimentati. Il “nuovo arrivato” impone una riflessione su cosa significhi essere comunità generativa e su come le relazioni tra comunità possono contribuire al bene comune, alla base della storia. Un costruire insieme ben riassunto da Andrea Grillo nel suo libro Riti che educano quando sottolinea che “la liturgia, i sacramenti dell’iniziazione cristiana sono essenzialmente un contatto tra la Chiesa, Cristo e un nuovo membro che comincia a toccare e a essere toccato da Cristo e dalla Chiesa”».