Negli ultimi tempi, in ambiente accademico, si parla molto di decolonizzazione. Altri reagiscono sostenendo che la colonia è stata un bene per i Paesi del Sud del mondo. L’esperienza coloniale è stata complessa e non è giusto dare giudizi generalizzati e semplicistici. Rimane il fatto che i Paesi europei si sono imbarcati nell’avventura coloniale non per aiutare i più poveri e abbandonati. L’intento era di sfruttare le ingenti risorse dei continenti a Sud del mondo. Dopo aver raggiunto il controllo di un’area, hanno spesso usato la violenza per mantenere il potere. È così che in Kenya il potere coloniale istituì il kipande. Questa era una scatoletta metallica che conteneva dei documenti. Chi della popolazione locale doveva viaggiare da un distretto all’altro, oppure uscire di notte (c’era un coprifuoco nelle zone urbane), doveva fermarsi all’ordine della polizia. Se i documenti nel kipande non permettevano la presenza in quella zona, la persona veniva portata in prigione e poi in tribunale. Di fatto i kenyani non potevano girare liberamente a casa loro.
Le cose peggiorarono quando la gente iniziò a chiedere l’indipendenza. Scoppiò la rivolta chiamata dei Mau Mau. Venne dichiarata l’emergenza, e questo permise al governo coloniale di infierire sulla popolazione innocente. Il governatore del Kenya ammise che meno di cento europei, compresi i coloni, furono uccisi mentre 1.832 lealisti morirono per mano dei Mau Mau. Durante l’emergenza morirono più persone in incidenti stradali che per mano dei Mau Mau. Questo non impedì al governo inglese di rinchiudere migliaia di persone in riserve, causando la morte di oltre 11 mila Mau Mau. Vari ricercatori (Caroline Elkins, Britain’s Gulag; David Anderson, Histories of the Hanged) stimano che almeno 300 mila persone siano morte all’interno dei lager preparati dagli inglesi, in maggioranza donne e bambini.
Non andò meglio a quegli africani che combatterono per la Francia durante la Seconda guerra mondiale. Alla fine della guerra, vennero imbarcati per Dakar, in Senegal, e radunati nel campo militare di Thiaroye. C’era del malcontento tra la truppa: nessuno aveva ricevuto i benefici di smobilitazione. I soldati si rifiutarono di lasciare il campo prima di ricevere la paga. Il 28 novembre 1945, il generale Marcel Dagnan visitò la caserma, notò l’ostilità della truppa, e dichiarò che il campo era in aperto ammutinamento. Pochi giorni dopo, un gruppo di tiratori senegalesi sotto il comando di ufficiali francesi entrò nel campo – i soldati lì presenti erano disarmati – dopo alcuni momenti di tensione iniziò una breve sparatoria. Il rapporto ufficiale francese parlò di pochi morti, forse 24 in tutto. La ricerca storica avvenuta più tardi parla di un attacco premeditato con oltre 300 vittime.
E che dire del colonialismo italiano. Da sempre ci è stato detto che fu un colonialismo buono. Non provate a dirlo agli etiopici che cercarono di resistere all’avanzata italiana. Il 15 febbraio del 1936 l’esercito italiano, nei pressi del massiccio montuoso dell’Amba Aradam, provò a piegare la resistenza locale una volta per tutte. Si rivolse anche a delle tribù mercenarie, che non furono sempre affidabili. Era la confusione totale. Alla fine della guerra, per descrivere situazioni caotiche, i coloni iniziarono a dire “proprio come ad Amba Aradam” che divenne poi “ambaradan”. La battaglia dell’Amba Aradam venne vinta utilizzando armi chimiche: il gas iprite e i proiettili all’arsina e al fosgene, fortemente tossici. Il tutto in piena violazione della Convenzione di Ginevra del 1928.
Questi sono solo esempi, non danno una visione globale del colonialismo. Allo stesso tempo, sono fatti che devono farci riflettere, specialmente quando sentiamo lamenti contro i popoli del Sud, e crediamo di poter dar loro le colpe per tutto ciò che va male. Come se avessimo davvero una autorevolezza morale nei loro confronti.