Idee
Dal 4 al 6 luglio Padova ha ospitato la Conferenza nazionale di programma dell’Arci, un appuntamento che l’associazione ha voluto intitolare “Uno stare insieme che ha dentro la tempesta”. Un titolo evocativo, che, come ha spiegato il presidente nazionale Walter Massa, riflette pienamente il momento storico che stiamo attraversando: «Siamo nel mezzo di una tempesta. Il mondo intorno a noi cambia a una velocità feroce: i diritti si erodono, lo spazio pubblico si restringe, la democrazia si svuota. In questo scenario, l’Arci non può restare ferma a guardare». L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Padova e sostenuta da Hera Comm e Bper Banca, segna l’inizio di un percorso collettivo di ascolto e confronto che l’Arci vuole fare per affrontare insieme ai territori le sfide del presente. La conferenza si è articolata in tre giornate intense, non come una semplice verifica delle attività svolte o come un passaggio formale, ma come un autentico esercizio collettivo di consapevolezza e responsabilità. Uno spazio politico e culturale per ascoltare, rilanciare e ridefinire l’impegno associativo di Arci, nel presente e per il futuro. A due anni dal congresso di Roma, il contesto è radicalmente mutato. Guerre, derive autoritarie e una crescente legittimazione della violenza dominano lo scenario globale. Il genocidio in corso a Gaza, la guerra in Ucraina e altri conflitti spesso dimenticati influenzano profondamente linguaggio pubblico e percezione collettiva. Accanto a queste crisi geopolitiche, si affermano gravi squilibri economici e sociali: precarietà, lavoro povero, inflazione, tagli ai servizi essenziali. La ricchezza si concentra nelle mani di pochi, mentre aumentano le disuguaglianze e si approfondiscono le fratture territoriali. In Italia, molte aree interne si spopolano, i diritti si impoveriscono e cresce la sfiducia nelle istituzioni. «Viviamo in un’epoca in cui la solidarietà viene sistematicamente attaccata – ha evidenziato la sociologa Francesca Coin durante l’incontro di apertura – L’attacco alla democrazia passa per l’attacco a tutto ciò che le classi lavoratrici hanno conquistato: sanità pubblica, redistribuzione, diritti sociali». Coin ha denunciato anche il peso crescente della cultura del merito e della colpa individuale, che permea il discorso pubblico, mentre aumentano solitudini, disagio mentale e senso di impotenza: «La precarietà della democrazia ce l’ha raccontata bene il recente referendum in cui ho sentito persone dire: “Voto no, tanto non mi riguarda”». In questo contesto, Arci sceglie di non ripiegarsi su sé stessa, ma di rilanciare una visione alternativa: sociale, cooperativa, culturale. Una visione che non si limita ad analizzare la tempesta, ma ambisce a diventarne parte attiva, riaffermando con forza i valori della pace, della libertà, della democrazia e del rispetto delle diversità. «Quando parliamo di tempesta, a cosa ci riferiamo? – si è chiesto Lorenzo Zamponi, professore di sociologia alla Scuola Normale superiore di Firenze, intervenuto alla conferenza – In parte siamo ancora dentro la crisi del 2008. Quella crisi ha scardinato un’intera egemonia, un modello sociale preciso. E oggi ne vediamo ancora le conseguenze: disuguaglianze, tensioni interne, crisi dell’ordine globale». E ha aggiunto: «Accanto a questa crisi sistemica si è affermata una risposta autoritaria, nazionalista, reazionaria, che in molti contesti è ormai dominante. Dunque, la tempesta è fatta di questi due elementi: la crisi e la risposta regressiva». Il messaggio che arriva da Padova è chiaro: occorre ricostruire forme partecipate di democrazia, spazi permanenti in cui realtà sociali attive su fronti diversi, dalla povertà all’ambiente, dalla salute ai diritti, possano incontrarsi, dialogare e integrare i propri sforzi, per evitare che l’impegno di ciascuno venga isolato o ridotto. «È fondamentale costruire “mattoni” di sistema – ha sottolineato Fabrizio Barca, economista e coordinatore del Forum disuguaglianze e diversità – Alcuni di questi devono nascere dalle esperienze territoriali. Serve ricostruire un impianto valoriale comune, riscoprendo cinque o sei parole intoccabili a partire dai primi articoli della nostra Costituzione. E al tempo stesso, è essenziale sperimentare nuove politiche per la produzione di beni collettivi». Difendere la democrazia, oggi, significa costruire alternative concrete, immaginare nuove forme di partecipazione, mutualismo e cultura popolare davvero inclusive e accessibili. Non basta costruire ponti: serve creare fiducia, contaminazioni positive, reti che facciano la differenza. Perché, come ribadisce la presidente onoraria di Arci, Luciana Castellina: «Quando l’Arci è nata, io ero già grandina e immersa nella Fgci, molto legata alla nuova organizzazione. Ricordo bene che vivemmo “l’invenzione” dell’Arci come un luogo dove i giovani potevano incontrarsi, divertirsi e magari acculturarsi un po’. E ancora oggi l’Arci deve contribuire a cambiare il modo di vivere partendo dal territorio. Aiutando i giovani a diventarne soggetti e protagonisti, non solo propagandisti di ciò che dicono gli altri».
«Quali sono gli elementi di questa tempesta drammaticamente perfetta? – si è chiesta all’incontro, Lara Ghiglione, segretaria confederale Cgil nazionale – Il primo punto è costituito dalle migliaia di ragazzi che nascono e studiano qui e sono costretti ad andare via per immaginare un progetto di futuro lontano da un Paese che non offre prospettive se non lo sfruttamento stabile. Oppure continuare ad anteporre il tema dei profitti alla condizione delle persone e al rischio della propria vita: ogni giorno in Italia muoiono tre lavoratori/lavoratrici eppure la narrazione va da un’altra parte. Quando ne vogliamo discutere, tipo tutto il tema degli appalti, si sceglie di contrarre i costi. La precarietà è un contesto a rischio, non permette di denunciare, rende ricattabili. La tempesta è lavorare ed essere poveri».